- A parole sono tutti d’accordo, bisogna ridurre drasticamente le emissioni di CO2.
- Gli obiettivi stabiliti a fine 2015 nello storico accordo di Parigi per contenere l’aumento della temperatura globale non oltre 1 grado e mezzo sono già saltati, come affermato dall’ultimo rapporto dell’Onu sul clima.
- Negli ultimi dieci anni l’estrazione e l’utilizzo di combustibili fossili è rimasta costante e rappresenta l’80 per cento dell’energia prodotta al livello globale.
A parole sono tutti d’accordo, bisogna ridurre drasticamente le emissioni di CO2: «Finora le misure si sono dimostrate insufficienti, con i trend attuali raggiungeremo +3 gradi di riscaldamento globale. Dobbiamo invertire la rotta e farlo presto…», ha detto Mario Draghi nel summit contro il cambiamento climatico ad aprile.
Queste invece le parole del presidente degli Stati Uniti Joe Biden: «La scienza non ha dubbi, se non agiamo il prezzo da pagare continuerà a salire. Non possiamo stare ad aspettare».
Gli obiettivi stabiliti a fine 2015 nello storico accordo di Parigi per contenere l’aumento della temperatura globale non oltre 1 grado e mezzo sono già saltati, come affermato dall’ultimo rapporto dell’Onu sul clima: «Il mondo è su un percorso catastrofico verso 2.7 gradi di aumento del riscaldamento globale”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
Basta investimenti
Sono i numeri a dirlo: «Quest'anno secondo la nostra analisi, l'aumento delle emissioni globali di anidride carbonica è il secondo più grande nella storia», ci ha spiegato a PresaDiretta Fatih Birol, il direttore esecutivo dell’ Agenzia Internazionale dell’Energia dell’Ocse che abbiamo intervistato a Parigi e che ha messo nel mirino i combustibili fossili, la principale causa delle emissioni di CO2 e l’industria del petrolio e del gas
«Se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici bisogna smetterla con investimenti in nuovi pozzi e ricerca di petrolio e gas», ricorda Birol.
Ma non è quello che sta succedendo, negli ultimi dieci anni l’estrazione e l’utilizzo di combustibili fossili è rimasta costante e rappresenta l’80 per cento dell’energia prodotta al livello globale.
Si continuano a fare ricerche, ad estrarre, a raffinare e ci sono le nuove frontiere del petrolio e del gas che non hanno alcuna intenzione di fermarsi.
Negazionismo al potere
A PresaDiretta domani sera vi porteremo nel Texas Occidentale, che negli ultimi anni è diventato il più grande bacino petrolifero del pianeta, grazie alla tecnica del “fracking” che ha permesso agli Stati Uniti di superare l’Arabia Saudita e diventare uno dei più grandi produttori di petrolio e gas al mondo: nei pozzi viene sparata ad alta pressione acqua, sabbia e ghiaia che fratturano le rocce da cui poi escono gli idrocarburi, una tecnica che come vedremo ha un impatto devastante sul territorio, inquina in profondità terreni, consuma quantità bibliche di acqua ed energia e dalle migliaia di impianti di trattamento rilascia in atmosfera quote non indifferenti di gas metano, il più potente gas serra, più letale della CO2.
Qui si erano stappate bottiglie di champagne quando l’ex oresidente Donald Trump aveva deciso di uscire dagli accordi di Parigi, del resto nel mondo del “fracking” il “negazionismo climatico” è diventato politica di governo, come ci ha detto Christian Wayne, commissario della Railroad Commission Of Texas, l’ente governativo che gestisce l’industria petrolifera nel Texas: «Perché dovremmo spendere 78 mila miliardi di dollari, per via degli accordi di Parigi, per una previsione lunga decenni che riguarda il contenimento della temperatura al di sotto un grado e mezzo! È folle!».
Biden in campagna elettorale aveva dichiarato di voler mettere al bando la tecnica del “fracking”, ma poi, una volta insediato , ha bloccato solo i nuovi permessi, che rappresentano l’1,7 per cento di tutte le estrazioni e negli Stati Uniti si continuerà a spaccare le rocce per tirare fuori gas e petrolio ancora per 30 anni.
Anche in Germania
La distanza tra le parole e i fatti non potrebbe essere più grande e i cattivi non sono solo gli Stati Uniti. Questa sera visiteremo assieme uno dei siti più importanti al mondo di estrazione del carbone e non si trova in Cina , ma nel cuore dell’Europa, in Germania, a sud ovest di Dusseldorf.
Si tratta di una miniera a cielo aperto enorme, 48 chilometri quadrati dove si estrae la lignite, una tipologia di carbone poco efficiente e tra le più inquinanti. E la miniera cresce ogni anno di più, mangiandosi i villaggi attorno che vengono comprati dalla Rwe, il colosso tedesco del carbone, per poi venire abbattuti: sotto le case, le chiese, le scuole c’è la lignite ancora tutta da sfruttare. Fino a quando?
Fino al 2038, questa la data scelta dal governo tedesco per mettere la parola fine al carbone, solo 12 anni prima del 2050, quando l’Europa dovrebbe arrivare ad emissioni zero, una presa in giro.
Anche da noi ha fatto discutere la decisione del ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani di autorizzare permessi di ricerca per sfruttare i giacimenti di metano e petrolio nel sottosuolo della Sicilia, dell’Emilia Romagna e nei fondali dell’Adriatico.
Per misurare la vitalità dell’industria del fossile basta seguire i flussi finanziari: le estrazioni di carbone in Germania della RWE vengono finanziate per 183 milioni di dollari da 25 investitori italiani, tra questi anche Intesa San Paolo.
Abbiamo scoperto che dalla firma degli accordi di Parigi ad oggi i 60 maggiori gruppi bancari del mondo hanno investito nei fossili qualcosa come 3800 miliardi di dollari.
La puntata l’abbiamo chiamata Petrolio il tempo perduto, vogliamo infatti che non si perda più un minuto per ridurre le emissioni di CO2, ma anche segnalare che è finito il tempo dei trucchi, che questa è veramente l’ultima chiamata.
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