Fnsi, Amnesty e Articolo 21 hanno organizzato, a Roma, un sit-in in occasione del 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa. Mai come oggi, di fronte alla Russia autocratica di Putin e alla folle guerra da essa mossa all’Ucraina, appare stringente il tema della libertà di informazione.
Il pensiero è stato rivolto a tutte le giornaliste e a tutti i giornalisti che nelle diverse parti del mondo, per amore di una professione che è anche diritto - di chi la svolge e di chi ne è fruitore, il diritto appunto ad informare ed essere informati -, rischiano la vita in situazioni di guerra, ma anche a causa di ordinamenti politici - chiamiamoli con il loro nome: Regimi- che reprimono la libertà, temendo la forza della parola come leva democratica.
Come è evidente, quest’anno il nostro pensiero non poteva che essere rivolto in particolare a chi sta raccontando il conflitto, in condizioni difficili e pericolose, a Leopoli, Odessa, Mariupol, cercando anche di compiere un difficile lavoro di separazione fra verità e propaganda, la cui dimensione in guerra cresce in modo abnorme.
Il caso Politkovskaja
E a coloro che in Russia e Bielorussia, non da oggi ma soprattutto oggi, pagano un prezzo altissimo per avere la sola “colpa” di informare. E come non ricordare, in questa giornata e in questo momento storico, il sacrificio estremo di Anna Politkovskaja, assassinata nell’androne di casa il 7 ottobre del 2006 per aver “osato” denunciare le violazioni dei diritti umani in Russia e in Cecenia e l’azione di Putin, rompendo una coltre di omertà interna certo, ma anche esterna.
Con il suo racconto infatti ha sfidato - come scrive lei stessa in un testo ritrovato dopo la sua morte nel suo PC e confluito nel libro Per questo, frutto del lavoro compiuto dai colleghi della Novaja Gazeta, dai figli e dalla sorella - anche quella fascinazione -sbagliata e pericolosa- che il putinismo ha esercitato per anni in Occidente. In questa solitudine profonda Politkovskaja -e il suo ristretto gruppo di colleghi e colleghe- ha portato avanti il proprio lavoro fino appunto a quel 7 ottobre 2006.
Non è casuale, a questo proposito, la decisione di conferire, fra gli altri, il Premio Nobel per la Pace del 2021 a Dmitry Muratov, caporedattore di Novaya Gazeta, giornale che tuttora sta sfidando le censure di Putin fattesi leggi soffocanti. La Pace si costruisce anche in questo modo, garantendo i diritti umani, in particolare quello alla libertà di informazione, sancito dall’art.19 della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Il valore dell’informazione
Proprio alla luce del momento che stiamo vivendo, credo però non sia più rinviabile la risposta alla domanda: cosa sta accadendo alla nostra informazione? Lo dico da componente della commissione di Vigilanza Rai e da senatrice, consapevole del peso di queste parole perché vengono pronunciate da chi riveste un ruolo di garanzia.
Non è più tollerabile, come è accaduto, che si faccia una pericolosa sovrapposizione fra libertà di espressione/informazione e propaganda. Non è questione di censura, ma di responsabilità verso i cittadini. Il tema della guerra, così importante anche sul piano della sicurezza nazionale oltre che del consueto terreno dell’esercizio democratico, impone una narrazione basata su notizie certe, veicolata da fonti attendibili e credibili.
Esiste un confine tra il pluralismo doveroso e sano e lo spazio mediatico che finisce per essere ridotto a palcoscenico della propaganda, basata su fake news ma capace di polarizzare il confronto, sacrificando principi, valori e diritti sull’altare dell’audience. Esiste in sostanza un confine fra l’informazione e la disinformazione, che usa la scusa del pluralismo delle posizioni, che se ne fa scudo. Questo lo dobbiamo dire senza paura. Proprio perché siamo stati in piazza, il 3 maggio. Proprio per le ragioni per cui abbiamo deciso di esserci.
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