- Davvero fare politica significa solo cercare di conquistare il potere? Proviamo a pensarla vestita di un significato un po’ diverso: l’attività che mira a conquistare il consenso.
- Guardiamo allora alle “politiche”, i provvedimenti che prende chi ha il potere. Vengono dichiarate prima o dopo aver preso il potere? La normalità è che vengano caratterizzate prima. Ci sono però almeno due inciampi in questa normalità.
- La politica come ricerca del consenso per realizzare “politiche” (policies) da parte di chi il potere lo ha già conquistato. Ecco la base per alleanze molto ampie di governo. Ed ecco il ruolo della “politica” nel decidere e implementare le politiche più urgenti.
La “politica” è un’attività che mira a conquistare il potere. Presumibilmente per usarlo e fare determinate “politiche”. Spesso l’intenzione è fare quelle che più beneficiano chi prende il potere e che promettono di accontentare chi ha permesso di conquistarlo in modo da garantirsi il suo mantenimento.
Fin qui tutto ovvio e a prima vista bruttino. La politica per il potere rischia di macchiare l’estetica della democrazia. Vorremmo, diciamo a volte, che la politica mirasse al “bene comune”. Ma, riflettendo, capiamo che il bene comune può essere una mistificazione. La società è fratturata in gruppi con interessi contrapposti: quello che è bene per gli uni può non esserlo per gli altri. La “democrazia” è il modo giusto per far prevalere certi interessi su altri.
La lotta per il consenso
Ma davvero fare politica significa solo cercare di conquistare il potere? Proviamo a pensarla vestita di un significato un po’ diverso: l’attività che mira a conquistare il consenso. Apparentemente, in democrazia, dove il potere si ottiene con il consenso, è la stessa cosa. Ma cerchiamo di tenere le due cose un po’ distinte. Guardiamo allora alle “politiche”, i provvedimenti che prende chi ha il potere. Vengono dichiarate prima o dopo aver preso il potere? La normalità è che vengano caratterizzate in modo generale prima, che sulla base della loro descrizione si cerchi il consenso per avere il potere e in seguito, col potere in mano, si decidano i loro dettagli. Ci sono però almeno due inciampi in questa normalità. Il primo consiste nel fatto che la ricerca di consenso per il potere è spesso basata su bandiere identitarie ed etichette ideali che non definiscono adeguatamente le politiche che si promette di adottare. Rimane allora l’equivalenza fra conquista di potere e ricerca di consenso ma quest’ultimo non riguarda le politiche ma le persone, le bandiere, i gruppi che chiedono potere. La declinazione mediatica e autoreferenziale di questo inciampo può raggiungere il surreale.
L’altro inciampo sta nei limiti della capacità di chi ha conquistato il potere di attuare le politiche che vorrebbe – nell’interesse proprio o generale – sia che siano state decise prima di ottenere il potere sia dopo averlo conquistato con bandiere ed etichette tipiche della pubblicità dei detersivi. Questo inciampo è particolarmente evidente in democrazia, dove il potere è ricco di limitazioni, per fortuna. Sicché, se voglio usarlo per fare politiche di qualche incisività, devo inoltrarmi in una ricerca di consenso diversa da quella che mi ha portato al potere. Mi serve il consenso di chi con me lo condivide, delle burocrazie che devono curare l’implementazione delle politiche, degli stessi cittadini che nel loro insieme, indipendentemente da quel consenso che mi ha mandato al potere, non devono fare troppo ostruzionismo alla realizzazione delle decisioni, soprattutto di quelle che beneficiano alcuni a scapito di altri.
Ecco dunque un uso del termine “politica” (politics) che non coincide con la ricerca di potere. La politica come ricerca del consenso per realizzare “politiche” (policies) da parte di chi il potere lo ha già conquistato. Spremere in questa direzione il termine “politica” non è inutile nominalismo. Per tre ragioni. Intanto perché riconosce una funzione preziosa dei politici, spesso sottovalutata. In secondo luogo perché mette il faro sulle “politiche” e quindi pressione perché la propaganda per farsi dare potere le contenga in una forma decentemente specificata e impegnativa. La terza ragione guarda anche all’attuale governo italiano. Ci sono periodi in cui l’urgenza di alcune politiche si impone irresistibile sulla poca voglia e capacità dei politici di disegnarle e attuarle, sulla distrazione dal concreto causata dalla loro continua propaganda. Allora, chiunque detenga il potere ha interesse che vengano fatte, anche se qualcuna stona con le sue bandiere.
Ecco la base per alleanze molto ampie di governo, la ricerca di premier indipendenti, cosiddetti tecnici, senza violazioni della democrazia, nonostante il temporaneo tacere della consueta competizione per il potere. Ed ecco il ruolo della “politica” come ricerca di consenso nel decidere e implementare le politiche più urgenti, tenendo quelle alleanze cucite e le misure abbastanza accettate dall’opinione pubblica. Una ricerca che richiede abilità, carisma e leadership, pragmatismo, pizzichi di machiavellismo, un misto di caratteristiche che mettono in ombra quelle, più pacchiane e gridate, della politica intesa come ricerca di potere. Ed ecco che i cosiddetti tecnici sono più politici di quelli che concentrano la loro politica sul successo nei sondaggi e la conquista del potere.
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