Premesso che le decisioni della presidenza della Camera sul calendario possono sempre essere cambiate con un dietrofront, la maggioranza e il governo hanno deciso di prendere tempo sul premierato e sulle modifiche della Costituzione sui magistrati presentate dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

La proposta fatta dalla presidenza della Camera, quindi dalla maggioranza, ha sorpreso, ma segnali in questa direzione c’erano anche se limitati al premierato, invece ora il rinvio al 2025 riguarda entrambe le proposte di modifica della Costituzione.

Perché. Anzitutto la raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge Calderoli, che va meglio delle previsioni, e i ricorsi di 4 regioni alla Corte costituzionale. Calderoli ha tentato di forzare, spinto da Zaia e Fontana, fissando per fine settembre il tempo limite per i ministeri per esprimere le loro opinioni, trascorsi i quali avrebbe aperto le trattative con le singole regioni richiedenti. Una autentica provocazione. Se 4 regioni chiedono alla Corte di pronunciarsi sulla costituzionalità della legge e a gennaio la Corte dovrà decidere sull’ammissibilità del referendum, è complicato per il governo ignorare questi appuntamenti senza dimostrare con chiarezza di voler forzare per creare un fatto compiuto. Il governo non sembra in condizioni di farlo.

Se la Lega non può procedere nello sberleffo a regioni e promotori del referendum, è evidente che entra in sofferenza il legame con l’elezione diretta del presidente del Consiglio (voluto da Meloni) e la separazione delle carriere dei giudici (cara a Tajani). In sostanza, il simul stabunt simul cadent su cui è fondato il patto di potere tra le destre obbliga al rinvio.

Naturalmente ci sono anche altre ragioni per questa scelta. Ad esempio non risulta che la maggioranza abbia sciolto il nodo della legge elettorale maggioritaria che si è impegnata a presentare in modo da far capire a tutti come intende uscire dai numerosi “cul de sac” tecnici in cui si è messa da sola e che rendono molto difficile attuare le modifiche costituzionali che vorrebbe introdurre, stando al testo approvato dal Senato.

Dissensi a destra

Anche la sofferenza politica di settori della destra sull’autonomia regionale differenziata che coinvolge autorevoli presidenti del Sud, e fasce importanti di elettorato nel Sud, ma anche nel Nord. Sottolineo quanto ha scritto Innocenzo Cipolletta, con un passato importante in Confindustria, che ha dato voce a settori imprenditoriali che temono i vincoli delle singole regioni e l’arretramento da norme nazionali, proprio nel momento in cui le aziende italiane affrontano la possibilità di giocare un ruolo europeo (Draghi è avvisato) e vengono fermate da una levata di scudi a cui si aggiungono posizioni dei governi più che discutibili alla luce delle regole europee. Si possono ricostruire barriere in Italia quando ne esistono fin troppe in Europa? Barriere che per di più questo governo non vede perché si attarda su una politica che lo vede nelle scelte di fondo schierato con i passatisti e contro le innovazioni, in particolare su energia e ambiente.

L’opposizione dovrebbe avere ancora più chiara l’importanza delle decisioni riguardanti l’autonomia regionale differenziata. Su questo punto si deciderà molto del futuro dell’Italia, che potrebbe ripiegare in un dualismo interno mortale o riprendere un cammino di innovazione e modernizzazione con al centro il ruolo del lavoro.

La sfida dei referendum

I referendum della prossima primavera, se – come è auspicabile – saranno confermati, affronteranno la discriminante tra passatismo e innovazione, chiederanno di votare a elettrici ed elettori, con una svolta rispetto all’astensionismo crescente, e saranno un altolà forte alla maggioranza.

Se è vero che quello che la tiene insieme è un patto di potere del tipo “Questo a me, questo a te”, pazienza, vuol dire che si tornerà a votare ed è sperabile che la legge elettorale venga cambiata in tempo utile per evitare un nuovo 2022, quando la maggioranza parlamentare è stata regalata a una minoranza di voti.

I referendum per la prossima primavera chiedono l’abrogazione di norme che hanno indebolito le tutele del lavoro, per ridare diritti e salute, e per impedire che la Lega ottenga venti anni dopo quello che non ha ottenuto quando ha iniziato a parlare di Padania (area solo idrografica) e di un regionalismo egoista e miope che porterebbe a un secessionismo senza futuro.

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