“Chi conosce un solo biennio (di governo), non conosce neppure quel biennio”. Infatti, non potrà dire che cosa è accaduto di eccezionale poiché non sa che cosa accade normalmente in un biennio (di governo). Su un punto delle rivendicazioni orgogliose del presidente del Consiglio Giorgia Meloni si può e deve essere d’accordo. Il suo (primo) governo ha già conseguito il settimo posto nella classifica di durata dei governi italiani.

In buona parte, quindi, ha usufruito di quella stabilità politica la cui mancanza Meloni ha messo come fondamento al suo disegno di legge costituzionale per «l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri», il cosiddetto “premierato”.

Incidentalmente, nel programma presentato da Fratelli d’Italia agli elettori nel 2022 non si trova il premierato ma il molto diverso presidenzialismo. Se, poi, il governo Meloni durasse (durerà?) per cinque anni, sarebbe il primo governo italiano a riuscirvi, manderebbe logicamente in frantumi la necessità del premierato. Non serve l’elezione diretta per durare. “Basta” la politica.

I ministri

Per una valutazione istituzionale più articolata dell’eventuale successo del governo, è naturalmente indispensabile guardare anche ai ministri. A mo’ di utile comparazione fino al 1992, i presidenti del Consiglio cambiavano, pur meno spesso dei loro governi, ma molti ministri rimanevano in carica, talvolta era quasi un gioco dei quattro cantoni, molto a lungo, garantendo la stabilità e prevedibilità dell’azione politici di governo.

Da questo punto di vista, il governo Meloni ha già avuto qualche problema. Dimissioni, forzate, del sottosegretario Vittorio Sgarbi, e “volontarie” del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Ci sono poi un sottosegretario, Andrea Delmastro Delle Vedove, una ministra, Daniela Santanchè, e un ministro e vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, sotto processo. Censurare il profilo etico-politico del governo? No, solo ricordare qualche fatto meritevole di considerazione e comparazione.

Nient’affatto meritevole, invece, dello scontro istituzionale fra il ministro della Giustizia, accompagnato dal presidente del Senato e da una molteplicità di rappresentanti della maggioranza, contro (settori del)la magistratura. Rebus sic stantibus, forse, il biennio appare meno brillante.

Le altre rivendicazioni di Meloni che riguardano le politiche finora attuate sono tutte tanto orgogliose quanto vaghe a cominciare da quella relativa alla messa in ordine dei conti pubblici e quella assolutamente controversa sull’aumento della spesa relativa alla sanità.

I dati da contrapporre

Una buona opposizione avrebbe già anche contrapposto i suoi numeri per valutare l’aumento dei posti di lavoro, la diminuzione della disoccupazione, la crescita o no dei salari, l’impiego appropriato e le conseguenze degli ingenti fondi provenienti dal Piano nazionale ripresa e resilienza.

Dal canto mio, solo in parte, ma necessariamente, sento di dovere contraddire la mia posizione sulla indispensabilità di dati duri. Quindi, chiedo se alcuni provvedimenti come il più recente sulla maternità surrogata reato universale e il primo sui rave party, in mezzo quello relativo alla presenza delle organizzazioni pro-vita nei consultori per l’interruzione della gravidanza, qualche censura a scrittori scomodamente famosi, e, naturalmente il non troppo impalpabile senso di fastidio e di disgusto nei confronti dei mass media che non si possano controllare e normalizzare, come la Rai, non si configurino come un arretramento civile e culturale della nazione.

Si scivola verso l’introduzione lenta e strisciante di elementi di illiberalismo à la Orbán, l’amico ritrovato, in attesa che «la madre di tutte le riforme» (Meloni), il premierato, al quale già vedo cedimenti di alcuni politici e costituzionalisti manovrieri, sia risolutivo: durare e decidere senza controlli e senza freni e contrappesi.

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