- Durante l’elezione del presidente della Repubblica molti commentatori hanno criticato il populismo, ma allo stesso tempo hanno magnificano l’elezione diretta del capo dello stato.
- A questa visione plebiscitaria della democrazia ha risposto Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento davanti alle Camere. La sua è stata una lezione di democrazia parlamentare.
- Il due volte presidente ha messo in chiaro come la velocità e l’urgenza della decisione siano un problema sventolato per decurtare, insieme ai tempi della deliberazione, le forme stesse della democrazia.
Nella settimana dell’elezione del presidente della Repubblica, le maratone televisive e molta stampa hanno magnificato l’elezione diretta del capo dello stato. Diversi opinionisti hanno riproposto il mito della velocità che ci ha accompagnato durante la campagna per il referendum costituzionale del 2016. Che bello se avessimo una consultazione elettorale, magari tra due soli candidati, così da sapere subito il nome del presidente (che però sarebbe, a quel punto, tutto fuorché il presidente di tutti gli italiani)! Gli stessi commentatori da un lato criticano il populismo, dall’altro magnificano l’elezione diretta del capo dello stato.
A questa visione plebiscitaria della democrazia ha risposto Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento davanti alle Camere. La sua è stata una lezione di democrazia parlamentare, che ha messo in chiaro come la velocità e l’urgenza della decisione siano un problema sventolato per decurtare, insieme ai tempi della deliberazione, le forme stesse della democrazia.
Tempi e forme che sono, disse Nicolas de Condorcet esponendo il suo piano di costituzione all’assemblea nazionale francese nel febbraio 1793, quelli della politica, ovvero né lunghi né corti, ma determinati da chi li progetta e secondo il regime politico che disegna.
Sconfessare il presidenzialismo
I tempi della politica in una democrazia sono quelli che devono essere se la deliberazione pubblica aperta e ragionevole viene usata per gettare luce sui problemi, lasciando che i dissensi si manifestino prima del voto. L’argomento della velocità, diceva Condorcet, fa buon gioco ai sostenitori delle soluzioni cesaristiche.
Ha detto Mattarella, che «proprio la velocità dei cambiamenti richiama al bisogno di costante inveramento della democrazia». Inverare la democrazia significa mettere al centro il parlamento. Questo dice la nostra Costituzione. E questo ha ripetuto il presidente, proponendo una interpretazione deliberativa di una «autentica democrazia».
Questa «prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione». Le risposte tempestive vanno «comunque sorrette da quell’indispensabile approfondimento dei temi che consente puntualità di scelte».
Una sconfessione del presidenzialismo e del mito dell’uomo solo al comando. Un mito, questo del cesarismo, che il tempo della complessità oltretutto rinnega: proprio nel paese dove la repubblica presidenziale è nata, gli Stati Uniti, oggi le istituzioni sono catturate e usate dai giocatori che vincono, con un esito tremendo per la stabilità del sistema. Un esito che il fenomeno Donald Trump ha messo in luce ma non ha generato.
Contro la mono-archia
Mattarella ha ricordato gli squilibri che alla democrazia vengono dagli interessi finanziari globali, i quali minano la funzione delle istituzioni democratiche quando mettono le sovranità di fronte alla logica del “prendere o lasciare” che azzera la deliberazione democratica perché alimenta un processo di decisione che «si traduce sempre a vantaggio di chi è in condizioni di maggiore forza. Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico». In questo contesto il collettivo democratico si impone sulla mono-archia.
La logica dell’uno (la mono-archia, appunto) a «occhi superficiali”, spiega Mattarella, crea l’illusione che «i regimi autoritari o autocratici» siano «più efficienti di quelli democratici, le cui decisioni, basate sul libero consenso e sul coinvolgimento sociale, sono, invece, più solide ed efficaci».
Questa è una sfida globale «per la salvaguardia della democrazia», che «riguarda tutti e anzitutto le istituzioni». Una sfida che la democrazia parlamentare deve cogliere, tenendo unite «due esigenze irrinunciabili: rispetto dei percorsi di garanzia democratica e, insieme, tempestività delle decisioni».
Il parlamento deve essere posto «in condizione sempre di poter» esaminare e valutare «con tempi adeguati» le iniziative del governo, come non è avvenuto in questo anno di dirigismo emergenziale, quando il parlamento neppure ha avuto il tempo di leggere il Pnrr elaborato da palazzo Chigi prima di approvarlo.
Mattarella ha criticato questo metodo: «La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi». Quando si lamentano le disfunzioni del parlamento non si possono tacere queste pressioni, mondiali e nazionali, che lo vogliono supino come un passivo organo di ratifica.
La mentalità e la pratica decisionista erodono dall’interno la più democratica delle istituzioni. Il mito della verticalità e del cesarismo è tra i fattori della crisi della democrazia dei partiti, ovvero della democrazia parlamentare. Il consueto lamento sul declino dei partiti organizzatori di partecipazione e di opinione non porta a nulla se non accompagnato dallo sforzo di analizzare questa loro decadenza (propria ormai di tutti i paesi occidentali) con lo sguardo rivolto alla sfida decisionistica.
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