Il 23 dicembre 1978 veniva promulgata la legge 833 che istituiva il Servizio sanitario nazionale (Ssn). I tre principi fondamentali che informano la legge 833 sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità. Ma oggi la direzione sembra un’altra
Il 23 dicembre 1978 veniva promulgata la legge 833 che istituiva il Servizio sanitario nazionale (Ssn). L’articolo 1 si apriva con le seguenti parole: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Servizio sanitario nazionale».
È chiaro il riferimento all’articolo 32 della Costituzione italiana che è identico fino alla parola «collettività» e conclude invece la frase scrivendo «e garantisce cure gratuite agli indigenti». I tre principi fondamentali che informano la legge 833 sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità.
Da dove veniamo
Il sistema delle casse mutue, presente in abbozzo già negli anni Trenta, ma sviluppatosi e divenuto obbligatorio per i lavoratori dipendenti nel secondo Dopoguerra, era debole in tutti e tre questi ambiti.
Non tutti i lavoratori, specie quelli autonomi, erano assicurati con una mutua, e l’accesso alle diverse prestazioni dipendeva fortemente dall’ente mutualistico al quale la propria categoria faceva riferimento. I poveri venivano iscritti in particolari elenchi e la loro assistenza era in carico ai comuni.
Gli ospedali facevano a loro volta riferimento ai comuni, ma stipulavano autonomamente accordi con le diverse casse mutue e dipendevano ancora molto dalle elargizioni dei privati.
La grave crisi finanziaria che colpì gli enti mutualistici all’inizio degli anni Settanta e il trasferimento alle regioni delle funzioni statali in materia di «assistenza sanitaria e ospedaliera» resero sempre più evidente la necessità di un coordinamento statale della sanità che riordinasse gli aspetti di diagnosi e cura, garantisse l’uniformità delle prestazioni offerte a tutti i cittadini e valorizzasse gli interventi di prevenzione e di riabilitazione, fino a quel momento trascurati.
Una vera rivoluzione
L’istituzione del Ssn portò una vera rivoluzione nel sistema della medicina ospedaliera e di quella territoriale, vivificando per almeno tre decenni la sanità pubblica italiana che, non a torto, è stata in seguito spesso citata come una delle migliori del mondo.
Soprattutto, il Ssn ha garantito un equo accesso alle cure a milioni di persone che prima non erano garantite, ha definito le prestazioni che devono essere uniformemente disponibili su tutto il territorio nazionale (i Lea), ha stimolato la crescita operativa, tecnologica e professionale delle sue strutture.
Oggi però è chiaro oltre ogni ragionevole dubbio che il Ssn si sta pericolosamente avvitando su sé stesso, sempre più incapace di affrontare le sfide alle quali 45 anni fa la sua istituzione aveva dato risposte forti e innovative: di nuovo l’universalità, l’uguaglianza e l’equità.
La crisi del Ssn
Le differenze nell’accesso alle cure sono oggi, come mezzo secolo fa, fortemente determinate dalla condizione socio-economica delle persone. I tempi di attesa per gli esami ne sono forse l’esempio più clamoroso.
Ricevere l’appuntamento per una risonanza magnetica a sei mesi o a un anno di distanza può significare solo una di due cose: o la richiesta era inutile perché il risultato dell’esame non avrebbe comunque modificato le scelte terapeutiche (e anche questo è un problema di cui bisognerà prima o poi occuparsi) o si stanno sottraendo all’individuo delle opportunità di diagnosi precoce e di cura che potrebbero influenzare la sua qualità di vita se non addirittura la sua sopravvivenza.
Quello che non è tollerabile è che, all’interno dello stesso Ssn, la possibilità di pagare faccia la differenza per ottenere un esame o una visita in tempi ottimali anziché epocali.
Alle sfide primarie dell’universalità e dell’uguaglianza si è aggiunta quella legata alla crescente insoddisfazione degli operatori del Ssn che, sopraffatti dalla scarsità numerica e dall’eccessivo carico di lavoro clinico e amministrativo, lo abbandonano appena possono senza che vi siano nuove leve in numero sufficiente per sostituirli.
I problemi e come affrontarli
Le cause di questa situazione sono numerose e complesse, e in alcuni casi travalicano i confini nazionali. Senza ambizioni di completezza, vorrei qui segnalare solo alcuni dei tanti problemi aperti.
- La crescita della popolazione anziana e lo sviluppo di tecnologie e farmaci sempre più cari hanno portato a un incremento dei costi al quale i governi che si sono succeduti negli ultimi quindici anni non hanno voluto o saputo rispondere con un parallelo aumento degli investimenti.
Le risorse che sono state investite, e che vengono spesso scorrettamente sbandierate citando la crescita dei valori assoluti dei bilanci della sanità, coprono a malapena i costi legati all’energia, all’inflazione e al (modesto) adeguamenti dei contratti. Di fatto non ci sono soldi da spendere, né un chiaro progetto di sviluppo futuro per il Ssn. - La decisione di investire di più nel Ssn dipende in prima istanza da quanto ci si crede. Appare sempre più evidente che la maggioranza politica non ha questa visione.
Affidarsi al privato convenzionato per risolvere i problemi della sanità pubblica è la risposta che va più di moda. Si tratta però di una lama a doppio taglio, perché tappa provvisoriamente alcuni buchi ma alimenta il consumismo sanitario e ha costi elevati per lo Stato.
Vale quello che anni fa diceva Marcia Angell a proposito dell’industria farmaceutica: «Vogliono farci credere che abbiamo gli stessi obiettivi, ma non è vero. Il loro obiettivo è il profitto». - Lo sviluppo della medicina territoriale è in ritardo di anni, ostaggio di posizioni corporative dei sindacati della medicina generale, di una cultura ospedalo-centrica che ha prevalso per lungo tempo, degli investimenti mal indirizzati.
Il sistema richiede una forte iniezione di elasticità e l’abbattimento dei tanti steccati che rendono difficile una vera continuità delle cure centrata sul paziente. - Il controllo sulla qualità e sull’appropriatezza delle prestazioni sanitarie non è un tema all’ordine del giorno, perché non fa audience né attira elettori. In realtà dovrebbe, perché sono sotto gli occhi di tutti l’uso inappropriato di esami e di terapie, il sottoutilizzo di prestazioni sanitarie efficaci e dal vantaggioso rapporto tra benefici e costi, le frodi, le complessità della burocrazia, l’inadeguatezza dei sistemi informatici e dei data-base, i gravi problemi di coordinamento tra le diverse aree del sistema.
- L’assoluta disparità di organizzazione, di capacità manageriale, di disponibilità di strutture e servizi tra i diversi Servizi sanitari regionali, che rischia solo di peggiorare se andrà in porto il progetto per l’autonomia differenziata delle regioni. Con poche eccezioni, nell’uno e nell’altro senso, le criticità maggiori si riscontrano nelle regioni dove la popolazione ha un reddito pro capite inferiore, colpendo così ulteriormente le classi più disagiate della nostra società.
Lavorare per il futuro
Tra i pochi gruppi che difendono tenacemente la causa del Ssn non si può non citare la Fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze), che anche lei ha un anniversario da ricordare nel 2023.
Risale infatti a dieci anni fa la prima campagna di Gimbe, “Salviamo il nostro servizio sanitario nazionale”, basata su tre principi che mi permetto di riportare come tabella di marcia per il futuro:
- Evidence for health: le migliori evidenze scientifiche devono essere integrate in tutte le decisioni politiche, manageriali e professionali che riguardano la salute delle persone, oltre che guidare le scelte di cittadini e pazienti;
- Value for money: il sistema sanitario deve ottenere il massimo ritorno in termini di salute dal denaro investito in sanità, al tempo stesso mandato etico e obiettivo economico;
- Health in all policies: la salute delle persone deve guidare tutte le politiche, non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali.
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