- Tutto è iniziato con una discutibilissima riunificazione di due procedimenti che, di fatto, ha segnato il destino del processo. C’è il rischio di una prescrizione di massa.
- La vicenda si è complicata quando il Consiglio Superiore della magistratura ha nominato Nicolò Marino – parte civile nel processo Montante – procuratore aggiunto a Caltanissetta.
- Così il dibattimento è finito in un altro distretto fino a quando il Tar del Lazio ha sospeso la nomina di Marino e il processo è stato rimandato nel luogo d’origine.
Quando la giustizia balla c'è sempre poca giustizia. E mai che ci sia un colpevole, un responsabile, qualcuno che risponda dell'"uccisione” di un processo avvenuta sotto i loro occhi. Tutti testimoni oculari e tutti innocenti.
In questi mesi la giustizia ha ballato e anche tanto in Sicilia. Le danze si sono aperte a Caltanissetta, il tribunale dove per quattro anni si è pigramente celebrato il dibattimento a carico di Calogero Antonio Montante, l'ex vicepresidente di Confindustria al centro di un sistema di potere infetto.
Ma, in questo caso, il problema non è Montante quanto piuttosto come lo stanno giudicando davanti al popolo italiano. E, per dirla tutta, come non lo stanno giudicando.
Perversi meccanismi giudiziari
A seguire le traversie del processo - che pur ha una sua rilevanza per il peso del personaggio coinvolto e per i suoi eccellenti coimputati - ci si accorge che c'è qualcosa di perverso nei meccanismi giudiziari.
Il processo prima si è impantanato e poi è partito un giro dell'oca che, subito dopo una discutibilissima riunificazione che l'ha trasformato in un maxi con 29 imputati, l'ha sbattuto di qua e di là: prima a Catania, poi il ritorno a sorpresa a Caltanissetta in attesa - chissà - di dirottarlo un'altra volta a Catania.
E' la spirale della giustizia. Dove è stato inghiottito non un processo qualunque.
Se il capo dell'associazione a delinquere viene indicato dall'accusa nella persona di Calogero Antonio Montante detto Antonello, non meno noti sono i suoi presunti complici: l'ex presidente del Senato Renato Schifani; l'ex capo dei servizi segreti civili generale Arturo Esposito; l'ex direttore della Dia prefetto Emanuele De Felice; l'ex governatore della Sicilia Rosario Crocetta e un bel numero di funzionari dello stato e imprenditori legati uno all'altro da patti indicibili.
Il dibattimento si è aperto ormai da cinque anni (nel frattempo Montante è stato condannato in un processo parallelo a 8 anni in appello con rito abbreviato) ma non si sa quando finirà. O meglio: non si sa esattamente quando ricomincerà e soprattutto dove ricomincerà.
Altamente probabile è il rischio di una prescrizione di massa. Un po' provocata dall'esasperata lentezza del procedimento e un po' per la riunificazione di due tronconi voluta «per evidenti ragioni di economia processuale» dal presidente del tribunale Francesco D'Arrigo. Sulla carta niente di più logico, in realtà una scelta che ha segnato il destino del processo.
Con meno di due udienze al mese per mancanza di giudici e di collegi, il dibattimento si trascinerà per lunghissimo tempo e molti imputati andranno incontro all'estinzione del reato contestato.
Anni e anni di indagini buttate via, la giustizia che si strangola con le sue stesse mani. E per di più nella città, Caltanissetta, che dal 2005 al 2015 è stata regno di Montante e dei suoi bravi.
Naturalmente una coincidenza, comunque resta sempre una sgradevole sensazione.
E non certo per la decisione presa dal presidente D'Arrigo (che, giusto precisarlo, contrariamente a molti suoi colleghi mai ha avuto a che fare direttamente o indirettamente con la banda Montante) quanto per l'inerzia mostrata dai vertici del tribunale.
La vicenda, già di per sé scandalosa, si è arricchita di ulteriori colpi di scena nelle ultime settimane quando il Consiglio Superiore della Magistratura ha nominato procuratore aggiunto a Caltanissetta Nicolò Marino. Un arrivo che ha terremotato il processo, perché Marino ne è parte civile avendo subito opera di spionaggio da parte di Montante.
Così il dibattimento è scivolato a Catania, con il procuratore Carmelo Zuccaro che aveva già individuato i tre magistrati che avrebbero dovuto occuparsene. Tutto finito? No.
Contro la decisione del Csm su Marino si è opposto il sostituto procuratore di Caltanissetta Pasquale Pacifico, il Tar del Lazio gli ha dato ragione e la nomina di Marino è stata sospesa. Il processo, in pochi giorni, ha fatto una violenta andata e ritorno Caltanissetta-Catania-Caltanissetta.
E dunque si farà dove è nato: Caltanissetta. Ma cosa succederà se il Consiglio di stato ribalterà il verdetto del Tar e confermerà Marino aggiunto a Caltanissetta? Il processo rifinirà a Catania.
Ecco, la giustizia che balla scomposta. Forse qualcuno avrebbe dovuto prevedere ciò che sarebbe accaduto, era tutto scritto.
Forse anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, così attento alle disfunzioni della macchina giudiziaria e così desideroso di avere magistrati manager, dovrebbe conoscere nei dettagli l'emblematico “caso Montante”.
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