Chi sostiene che destra e sinistra siano concetti sorpassati e vuoti trova una smentita dalle reazioni suscitate dalle recenti proposte di Enrico Letta. Le due più caratterizzanti, lo ius soli, o culturae che dir si voglia, e la reintroduzione di una imposta di successione per i grandi patrimoni – ce ne sarebbe anche una terza, il voto ai sedicenni, ma su questa è meglio sorvolare – hanno provocato entrambe una scossa elettrica dalle parti della destra. E si capisce la ragione. La prima infrange il mantra della difesa del sacro suolo della patria dall’invasione straniera su cui si sono costruite le fortune salviniane e meloniane; una posizione peraltro condivisa anche dai berlusconiani, ben lontani dalla lezione della conservatrice Angela Merkel. Una verifica sui risultati dei programmi di integrazione del milione e passa di rifugiati accolti in Germania nel 2015 sarebbe istruttiva: forse eviterebbe reazioni isteriche a ogni barcone di disperati che attracca.

La seconda iniziativa del segretario del Pd non poteva che risultare fumo negli occhi per la destra nostrana che fa della grettezza la sua cifra identificativa, e che considera la “roba” un diritto divino, intangibile da ogni prelievo fiscale da parte dello stato – che, ovviamente, è il nemico. Fu Ronald Reagan, il disastroso presidente degli Stati Uniti degli anni Ottanta, a portare al potere l’ideologia neoliberale e neoconservatrice, e a distruggere quanto rimaneva dell’America del New Deal: nel suo discorso inaugurale dichiarò che il governo non forniva la soluzione dei problemi bensì era esso stesso il problema. E quindi doveva essere smantellato per evitare che producesse programmi rivolti a ridurre povertà e diseguaglianze; piuttosto, andava spianata la strada a chi voleva fare soldi senza troppi intralci, regole e tasse inclusi.

L’approccio reaganiano

L’approccio reaganiano, ignorato all’epoca in Italia, è salito alla ribalta, per diventare poi egemonico, nel periodo alto del berlusconismo, quando il forzaleghismo guidato dal Cavaliere ha imposto la sua visione mastrodongesualdesca. Un ministro e coordinatore nazionale di Forza Italia degli anni belli come Cesare Previti, durante il processo per corruzione dei giudici non capiva nemmeno perché gli imputassero dei reati fiscali e dichiarava che i soldi erano «erano roba mia» e ne faceva quello che voleva. Un cammeo indimenticabile per capire di cosa grondasse la cultura politica della destra, nonostante qualcuno all’epoca – e ancora oggi – la definisse liberale: da far rivoltare nella tomba tutto il pantheon di quella nobilissima tradizione, da Benedetto Croce a Luigi Einaudi per rimanere in Italia. E ancora, come dimenticare il discorso di Silvio Berlusconi alla Guardia di finanza nel 2004 in cui aveva ribadito quanto affermato in precedenza sull’evasione fiscale come «diritto naturale» quando le tasse sono troppo alte. Concetto ribadito ancora negli anni successivi, come testimoniano le cronache. Infatti la vittoria mutilata del centro-sinistra del 2006, quando vinse per un soffio nonostante sondaggi favorevoli, va anche attribuita alla proposta prodiana di introdurre una imposta di successione per i redditi più alti, verso la quale la destra scatenò l’inferno.

Il tema, quindi, ha una sua storia e una sua rilevanza. Riprenderlo da parte di Enrico Letta rappresenta un atto politico di coraggio e di chiarezza. Perché infrange tabù diffusi trasversalmente, dato che gli elettori delle Ztl che votano Pd non sono esenti da richiami della foresta. Se dalla destra non ci si aspettava altro che ululati di rabbia stupisce, per non dire altro, la reazione stizzita di Mario Draghi. Certo che è il momento di dare e non di prendere, come ha detto il presidente del Consiglio, ma dipende a chi dare e da chi prendere, ovviamente. Non è forse chiaro e cristallino come la differenza tra debito buono e debito cattivo? Togliere ai ricchi per dare ai poveri, per dire le cose come stanno, è il minimo che si possa chiedere ad un partito che mira alla giustizia sociale e alla riduzione delle disuguaglianze. E al governo di cui tale partito fa parte.

I ceti popolari

Il complesso di inferiorità della sinistra degli anni 2000 rispetto all’ideologia-idolotria del mercato e delle sue bellezze infinte, dove ha ragione chi guadagna di più, sembra finalmente sul punto di essere superato. Le furiose invettive della destra sono la dimostrazione che si è toccato un nervo sensibile sul quale impostare una lotta politica degna delle migliori tradizioni. Il punto va tenuto se il Pd vuole riacquistare una anima di sinistra, orientata chiaramente verso i ceti popolari. Forse qualche sostenitore ad alto reddito e poca convinzione potrà anche essere perso per strada (anzi per viale, immaginando la sua residenza) ma in compenso il Pd inizierebbe l’opera di recupero di quel popolo di sinistra che si è disperso tra astensione, sirene grilline e fatale attrazione populista. Se invece vuole rifugiarsi nel caldo della classe media allora rinunci a queste “sparate” e si allinei pure ai vari cespugli neocentristi, lasciando ad altri la rappresentanza delle componenti sottoprivilegiate della società. Ma ricordiamo che sinistra e destra si distinguono ancora sulla pulsione alla giustizia sociale e all’eguaglianza.

 

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