- Dopo aver esaminato quasi 250 studi scientifici che hanno valutato il livello di alimentazione di circa 110.000 anziani, i risultati dello studio del ministero della Salute sono inquietanti.
- Un grado di malnutrizione preoccupante concerne il 3-4 per cento degli anziani che vivono a casa loro ma si innalza fino al 70 per cento per quelli posti in strutture di lungodegenza e Rsa.
- Ora quindi è ufficiale: i dati del ministero confermano quello che molti testimoni denunciano da tempo e cioè che nelle Rsa si mangia male e poco si beve ancor meno e il risultato sono continui casi di disidratazione e malnutrizione.
Le Rsa, le residenze sanitarie assistenziali per anziani, sono di nuovo nel mirino. Questa volta è un rapporto del ministero della Salute a mettere in rilievo l’aspetto nutrizionale degli anziani in Italia.
Dopo aver esaminato quasi 250 studi scientifici che hanno valutato il livello di alimentazione di circa 110.000 anziani, i risultati sono inquietanti: un grado di malnutrizione preoccupante concerne il 3-4 per cento degli anziani che vivono a casa loro ma si innalza fino al 70 per cento per quelli posti in strutture di lungodegenza e Rsa.
I dati del ministero confermano quello che molti testimoni denunciano da tempo e cioè che nelle Rsa si mangia male e poco, si beve ancor meno e il risultato sono continui casi di disidratazione e malnutrizione che indeboliscono gli anziani e li condannano ad essere più facilmente preda di gravi malattie. Certamente non è così dovunque, ma si tratta di un trend generalizzato e purtroppo assai esteso.
Il rapporto del ministero (di un anno fa ma messo online ora) evidenzia la mancanza di una sorveglianza nutrizionale per gli anziani anche se la produzione scientifica su tema è considerevolmente aumentata negli ultimi trent’anni. Il testo del tavolo tecnico denuncia anche una scarsa attenzione dei media a tali fenomeni e una “carenza sistematica” di formazione del personale sanitario. La cosa più grave rimane il mancato recepimento delle linee di indirizzo per la ristorazione collettiva nelle lungodegenze, nelle strutture riabilitative e nelle Rsa». Tra le firme del rapporto anche Francesco Landi, presidente della Società italiana di geriatria e gerontologia.
Dalla strage di anziani di inizio pandemia –ancora occultata dai responsabili del settore- abbiamo posto su queste pagine in forte evidenza la questione anziani istituzionalizzati. Il dibattito che ne è scaturito ha preso di mira in particolare le Rsa come luoghi di abbandono e carenza di cure, dove oltretutto si da precedenza ai motivi finanziari (pudicamente chiamati di sostenibilità) rispetto alla cura degli anziani stessi. Ne è nata su queste pagine una campagna sulla chiusura delle Rsa e in favore dell’assistenza domiciliare diffusa sul territorio che ha trovato molto favore. Le reazioni contrarie sono state in realtà difensive, basate sull’impossibilità di cambiare l’attuale scenario: famiglie in difficoltà per carenza di risposte pubbliche; non autosufficienza degli anziani; difesa dei lavoratori delle Rsa. Si tratta di risposte rassegnate all’esistente. Nessuno che abbia a cuore gli anziani ha interesse a prendersela con chi lavora nelle strutture o con chi le gestisce: semplicemente vogliamo andare oltre l’attuale sistema.
Pensiamo che l’istituzionalizzazione sia sempre la risposta sbagliata, salvo eccezioni. La carenza di risposta pubblica a cui le Rsa sopperiscono non può essere più accettata. Riteniamo che con il recovery plan si possa andare oltre: un vero programma di assistenza domiciliare sul territorio che superi il destino triste dell’istituzionalizzazione. In passato si è fatto per altre parti della popolazione come per l’infanzia o i malati psichici. Si faccia ora anche per gli anziani.
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