Nonostante la partenza in salita del piano Albania, la presidente del Consiglio si è detta determinata ad andare avanti nel rispetto dell’impegno preso con gli italiani: «Fermare l’immigrazione illegale».

Intanto, nei giorni scorsi, ha potuto esultare per l’approvazione della legge che punisce la gestazione per altri (Gpa) come reato universale: «Una norma di buonsenso contro la mercificazione di donne e bambini».

Per un verso, la maggioranza lavora per comprimere, fino a cancellare, i diritti riconosciuti internazionalmente agli stranieri che intendono chiedere asilo nel nostro paese; per un altro verso, vanta di aver posto l’Italia «all’avanguardia fra le nazioni sul fronte dei diritti», come ha dichiarato la ministra Eugenia Roccella.

Quali diritti?

A quale idea di diritto, e di diritti, rimandano quelli che appaiono come due provvedimenti bandiera del governo Meloni? Forze sovraniste, intenzionate a chiudere le porte alle persone che vedono in pericolo la propria vita e libertà, è credibile che si ergano a paladine della libertà di donne e bambini dai rischi di sfruttamento riproduttivo, ovunque nel mondo? Ed è credibile che lo facciano mentre flirtano con le organizzazioni antiabortiste, disconoscendo l’autodeterminazione femminile?

Una prima riflessione necessaria riguarda il significato politico della norma sulla Gpa, viziata da un così feroce pregiudizio negativo contro la pratica da portare a equipararla nel disvalore a reati come terrorismo o genocidio, ignorando ogni possibile distinguo tra fini commerciali o altruistici, tutela o violazione dei diritti delle persone coinvolte.

La sproporzione della misura è tale da rendersi comprensibile solo ipotizzando che il vero obiettivo non sia quello dichiarato della protezione delle donne o dei bambini, ma piuttosto un altro: la protezione della “naturalità” della riproduzione, in quanto fondamento della “naturalità” della famiglia eterosessuale.

È noto come il fantasma della Gpa – tema peraltro controverso, oggetto di riflessioni articolate anche nel mondo femminista e progressista – sia stato agitato nel dibattito pubblico principalmente in riferimento al “pericolo” della genitorialità omosessuale maschile, nonostante a farvi ricorso siano in maggioranza coppie eterosessuali.

Non per caso, il tema è divenuto rilevante soprattutto in occasione della discussione della legge del 2016 sulle unioni civili. La contrarietà ideologica a ogni forma di accordo riproduttivo che coinvolga donne esterne alla coppia è stata alimentata, primariamente, dallo spauracchio delle famiglie formate da due uomini.

Dunque, sebbene esista una frangia del femminismo che avversa la pratica e ha espresso piena approvazione per la legge, sembra più opportuno leggere la battaglia della destra contro la Gpa come un caso di appropriazione di argomenti femministi – la difesa dell’autonomia delle donne – per piegarli a obiettivi altri: la conservazione di un ordine sociale di tipo gerarchico, in cui sia riconosciuta la supremazia del modello familiare “naturale” o “tradizionale” su ogni altro.

Vista così, come legge a difesa di un ordine fondato sulle diseguaglianze, questa presunta «norma di civiltà» appare tutt’altro che in contraddizione con le altre componenti dell’agenda della destra sui diritti. Appare, in particolare, piuttosto in sintonia con le misure di rafforzamento delle frontiere a detrimento dei diritti delle persone – incluse le donne migranti e rifugiate, la cui protezione dalla violenza e dallo sfruttamento evidentemente non sta altrettanto a cuore alla maggioranza.

Nazione e famiglia

Confini nazionali e famiglia tradizionale rappresentano i due pilastri della politica identitaria della destra: la costruzione di un’idea di “popolo” su basi nativiste e l’appello ai valori conservatori in tema di genere e sessualità. Sono due elementi fondanti di un progetto d’ordine, in cui i confini impenetrabili servono a distinguere “noi” e “loro”, mentre la famiglia va difesa come baluardo della “stirpe”.

Se è questa visione, dai tratti così chiaramente ideologici, a ispirare le politiche del governo, è difficile scorgervi le tracce del «buonsenso» continuamente sbandierato. Buonsenso sarebbe piuttosto, per esempio, prendere sul serio lo squilibrio demografico del nostro paese, e regolare due materie come l’immigrazione e i metodi riproduttivi nella consapevolezza che non saranno gli inni al valore della maternità “naturale”, né gli ostacoli all’aborto, né l’enfasi sulla “nazione” a ripopolare le coorti più giovani.

Ma questo significherebbe fare i conti con la complessità, che è il vero nemico di ogni populismo.

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