- L’ipotesi della coalizione Ursula, e di Mario Draghi stabilmente a Palazzo Chigi, si regge su un assunto ottimistico in cui tutti dovremmo sperare, ma che non è detto si realizzi.
- Che quando il fiume di denaro pubblico si sarà prosciugato, si sia nel frattempo realizzata la promessa di una poderosa ripartenza dell’economia, su nuove basi strutturali. Solo così l’Italia eviterà di tornare a essere, in Europa, la pecora nera per alto debito e bassa crescita.
- Se non dovesse andare così, torneranno i conflitti, su tutti i fronti, in un sistema politico balcanizzato.
Enrico Letta ha messo in ordine l’agenda politica del Pd e rinviato il tema sempreverde della riforma elettorale, silenziando almeno per qualche mese le teorie improbabili che in queste occasioni nascono per spiegare quale sia il sistema elettorale perfetto. Ma l’argomento rimarrà sullo sfondo e influenzerà indirettamente anche l’elezione del presidente della Repubblica.
Nel centrosinistra si è aggirato negli ultimi mesi lo spettro di una possibile vittoria alle prossime elezioni politiche del centrodestra a guida Meloni-Salvini, i quali potrebbero ottenere una maggioranza parlamentare autosufficiente grazie alla quota di seggi messi in palio nei collegi uninominali dalla legge in vigore. Va detto, una quota assai più piccola dei seggi messi in palio nei collegi uninominali dalla legge Mattarella.
Quindi, così come nel 2005 il centrodestra che temeva di perdere le elezioni decise di sostituire la Mattarella con la “porcata”, oggi nel centrosinistra ci sono insistenti pressioni per cancellare i collegi uninominali e arrivare a un sistema proporzionale puro (per Pd e M5s meglio se con una soglia di sbarramento alta “anti-cespugli”) con la speranza di poter poi entrare in coalizioni post-elettorali che includano Forza Italia o una Lega a guida Giorgetti. Chi continua su questa linea, evidentemente non crede alla “straordinaria vittoria” delle amministrative.
Ursula per Draghi
Nella sua versione più nobile, l’ipotesi della cosiddetta coalizione “Ursula” viene presentata come la premessa per mantenere Mario Draghi a palazzo Chigi e proseguire l’esperienza assai rassicurante degli ultimi mesi. Da qui, l’indisponibilità a considerare il candidato più ovvio per il Quirinale (lo stesso Draghi).
Questa ipotesi è basata sull’idea di una possibile pacificazione sociale permanente che consentirebbe senza strappi la stabilità di governi sostenuti da una variegata serie di partiti, da La Sinistra a Fi (o alla Lega), passando per Azione, Coraggiosa, Pd, M5s, Verdi, e quante altre sigle potranno essere ringalluzzite dal proporzionale.
Ora, l’attuale governo, presieduto da Mario Draghi, ha tanti meriti di cui il Paese gli sarà grato. L’autorevolezza e la reputazione internazionale del premier sono una garanzia verso i partner europei. Grazie all’urgenza delle sfide e alla indisponibilità di buona parte dei parlamentari di tornare al voto, può di volta in volta scontentare uno dei partiti che compongono la maggioranza e tirare dritto.
La riconoscenza delle élite è tale per cui errori che ad altri verrebbero fatti pagare con intere pagine dei giornali mainstream, non vengono nemmeno considerati.
Così come l’enorme accentramento dei poteri di governo che si è di fatto realizzato, con ministri chiave scelti personalmente dal premier che rispondono direttamente solo a lui, sarebbe stato oggetto di critiche sperticate come quelle viste, di fronte a un accentramento dei poteri risibile, a confronto, in governi che lo hanno preceduto.
Tutto questo è un bene per il paese, in questo momento. Ma molti fanno finta di non sapere che è possibile anche in virtù di una disponibilità finanziaria imponente, di cui non ha potuto beneficiare nessun capo di governo italiano da decenni.
Coi soldi è tutto più facile
Draghi può dire qualche no, ora a questo ora a quello, ma ha anche potuto dire sì, contemporaneamente al rifinanziamento del reddito di cittadinanza e dei generosi sgravi fiscali per le ristrutturazioni che stanno pompando domanda in misure inaudite nel settore delle costruzioni, si è potuto fermare a quota 102 sulle pensioni, ha rinviato al 2023 plastic e sugar tax, per fare qualche esempio.
E questo è solo l’antipasto, in vista degli investimenti infrastrutturali del Pnrr. Di fronte a tanta grazia, gli imprenditori sono entusiasti e le resistenze della Cgil su quota 102 sono state superate con poco sforzo.
L’ipotesi della coalizione Ursula, e di Mario Draghi stabilmente a Palazzo Chigi, si regge su un assunto ottimistico in cui tutti dovremmo sperare, ma che non è detto si realizzi: che quando il fiume di denaro pubblico senza apparente contropartita tributaria si sarà prosciugato, si sia nel frattempo realizzata la promessa di una poderosa ripartenza dell’economia, su nuove basi strutturali, e che quindi non l’Italia tornerà ad essere, in Europa, la pecora nera per alto debito e bassa crescita. Perché se no, torneranno i conflitti, su tutti i fronti, in un sistema politico balcanizzato.
Non è detto che a quel punto Mario Draghi sarà disponibile a indossare la maglietta del leader politico che deve prendere decisioni difficili, sotto l’attacco incrociato di partiti uno contro l’altro armato, con una opinione pubblica non più in larga parte plaudente.
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