- Di fronte alla candidatura al Colle del leader di Forza Italia sembra che un tacito accordo spinga tutti a fingere di vedere ciò che non c’è. O di non vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti.
- Il tentativo richiede di consegnare all’oblio una parabola politica segnata da 36 processi, una condanna per frode fiscale, leggi ad personam o la storia indecorosa del voto su Ruby nipote di Mubarak.
- In un tempo che è segnato a livello globale dalle proteste femministe del #MeToo, questa mossa pretende di far dimenticare il sistema di scambio tra sesso, denaro e potere al cuore del ventennio berlusconiano.
Berlusconi al Quirinale? Sembrava una boutade, una provocazione o una mossa del centrodestra per tenere le carte coperte fino all’elezione del presidente della Repubblica. Eppure la forza della ripetizione, amplificata dai mezzi di comunicazione, ha trasformato una palese insensatezza in una possibilità a cui tanti ora fanno mostra di credere.
La vicenda ricorda la favola di Andersen, in cui l’imperatore vanitoso viene convinto da due truffatori a farsi rivestire di un fantomatico tessuto meraviglioso, con il potere di diventare invisibile agli uomini indegni o sciocchi. «Come le sta bene! Come le dona!» dicono tutti davanti al vestito inesistente, che nemmeno l’imperatore è in grado, in realtà, di vedere.
Anche di fronte alla candidatura al Colle del leader di Forza Italia sembra che un tacito accordo spinga attori e osservatori della politica a fingere di vedere ciò che non c’è. O di non vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti.
Perché il tentativo di trasformare Berlusconi da “solito stronzo” in “venerato maestro”, per citare Alberto Arbasino, richiede di consegnare all’oblio una parabola politica segnata da 36 processi, una condanna per frode fiscale, leggi ad personam o la storia indecorosa del voto su Ruby nipote di Mubarak
Più ancora, in un tempo che è segnato a livello globale dalle proteste femministe del #MeToo, questa mossa pretende di far dimenticare il sistema di scambio tra sesso, denaro e potere che è stato al cuore del ventennio berlusconiano.
Come scriveva Ida Dominijanni nel suo libro del 2014, Il trucco, nel modello di gestione del potere incarnato per la prima volta in Italia da Berlusconi «la sfera della sessualità agisce in modo tutt'altro che accessorio», alimentando «un populismo largamente basato sulla fantasia di una potenza sessuale maschile inattaccabile dall'età, e di un suo potere di seduzione e controllo ritrovato, dopo, malgrado e contro il femminismo, sulle donne e sulla sessualità femminile».
Non per caso sono state le donne nelle proteste di piazza, ma prima ancora le donne di cui il capo si circondava – da Veronica Lario a Patrizia D'Addario, fino alle “Olgettine” – a innescare il declino che ha portato alla sua caduta, quando hanno gridato al mondo, come il bambino della favola di Andersen: «il re è nudo».
Con l’uscita di scena del Cavaliere, però, la politica italiana si è affrettata a derubricare il “sex gate” a semplice gossip, rinunciando a farne un'analisi più ampia e profonda, forse nel timore di scoperchiare una gigantesca questione maschile che viene da prima, e perdura dopo, la persona di Silvio Berlusconi.
Anche per questo, un paese che aveva già conosciuto il suo Weinstein e il suo Trump, fusi nella figura di un politico imprenditore e magnate della comunicazione, ha potuto rimanere cieco e sordo, negli ultimi anni, di fronte al #MeToo.
Allora la candidatura di Berlusconi al Quirinale è significativa non solo per ciò che pretende di nascondere, ma anche per ciò che rivela. È il canto del cigno di un potere maschile che non accetta di fare i conti né con il passato né con il mondo che cambia.
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