Curiosa la sorte del sostantivo/aggettivo “democristiano”. Taluni storici hanno definito la Dc «partito italiano» o «partito della nazione»; nel tempo immediatamente successivo al suo scioglimento si affermò un giudizio sbrigativo e liquidatorio che assegnò a quel termine il significato di furbastro, inaffidabile, tartufesco; con gli anni, giustamente, prese corpo un giudizio più equanime e articolato che riconosceva i meriti storici della Dc senza rimuovere le sue contraddizioni e i suoi limiti, le sue luci e le sue ombre.

L’opzione europeista

Ho l’impressione che l’audizione dell’ex democristiano Raffaele Fitto all’Europarlamento, decisamente imbarazzante, concorra a fare risorgere quel significato poco lusinghiero verso la Dc. Semmai appesantendolo ingiustamente.

Perché la Dc, pur nei suoi alti e bassi, su due punti, va riconosciuto, ha sempre tenuto: l’opzione europeista intestata ad Alcide De Gasperi e ai suoi eredi e la discriminante verso la destra missina post fascista. Basti rammentare la coerenza e la dignità con la quale De Gasperi, nel 1952, resistette persino a Pio XII opponendosi all‘operazione Sturzo, cioè all’apertura a un’alleanza con il Msi per il comune di Roma.

Ora Fitto si richiama a De Gasperi, ma lui, in passato Dc, è tuttora iscritto al partito erede del Msi; un partito che, solo un paio di mesi fa, ha votato contro il bis al mandato di Ursula von der Leyen e ora pretende che a un suo esponente sia assegnata una vicepresidenza; Fitto si astenne sul Pnnr, poi lo gestì da ministro a ciò dedicato in Italia e ora ci informa che oggi invece lo voterebbe; designato da Meloni, con enfasi si smarca dal suo partito e persino dall’Italia politica per autoproporsi come rappresentante della intera Europa. Con un tale funambolismo, come pretendere che la sua “democristianeria” non sia interpretata nell’accezione meno lusinghiera e cioè come ignavia, camaleontismo, inaffidabilità?

La sfrontatezza di Meloni

Ma, ancor più di Fitto, si mostra sfrontata Meloni. Che, dopo aver votato contro il secondo mandato alla presidente della Commissione Ue, pretende una vicepresidenza e, di più, osa bollare come antiitaliana la delegazione Pd che, doverosamente, chiede un minimo di coerenza con la maggioranza politica che le ha conferito il mandato alla Commissione.

Semmai sorprende che, dentro la suddetta delegazione Pd all’Europarlamento, vi sia chi si contenta dell’asserito profilo democristiano di Fitto. Separando la persona dalla sua attuale ascrizione politica. Come se non si trattasse di politica.

Sorprende, dicevo, tre volte: sia perché, come accennato, la tradizione Dc sull’europeismo e sull’argine a destra non ha mai derogato; sia perché i veri europeisti scommettono sulla caratura politica della Commissione (il più politico dei tre principali organi Ue, oltre a Consiglio e Parlamento) e dunque sulla maggioranza politica che la esprime, cui è estranea FdI; sia infine perché, al tempo della Dc e, in genere della Prima repubblica, i partiti erano una cosa seria e dunque era inconcepibile usarli come taxi. E dunque non si passava dalla Dc all’estrema destra senza essere sanzionati politicamente, cioè giocandosi la propria credibilità.

Non so come si chiuderà la partita, non escludo che, considerate le molteplici variabili e l’esigenza di non reiterare l’insediamento della Commissione, si possa sbloccare l’impasse con una mediazione. Quel che non si può accettare è fingere di non avere inteso le piroette di Fitto e, a monte, di Meloni. Non senza un eccesso di tatticismo della stessa von der Leyen.

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