- Martedì 12 ottobre presso la Commissione Parlamentare Vigilante sulla Rai si è tenuto, ed è tuttora visibile sulla web tv della Camera, il confronto fra il principio di realtà e il modo di ragionare della politica corrente.
- La questione è se la Rai possa svilupparsi o regredire. Da qui alcune “modeste proposte” mirate ad aumentare i ricavi senza entrare nelle tasche degli abbonati.
- Nell’insieme si è potuta contemplare l’intera gamma che passa fra l’impotenza ad affrontare le questioni di sostanza e la pervicacia a torcere il futuro di un’azienda pubblica verso interessi di lobby e personali.
Martedì 12 ottobre presso la Commissione Parlamentare Vigilante sulla Rai si è tenuto, ed è tuttora visibile sulla web tv della Camera, il confronto fra il principio di realtà e il modo di ragionare della politica corrente.
La realtà era rappresentata, per onere d’ufficio, dall’ancora fresco Amministratore Delegato, Carlo Fuortes, impegnato a riferire che, dopo tredici anni di riduzione delle entrate pubblicitarie attratte sempre più dai social, la Rai non dispone delle risorse indispensabili per mantenere il “perimetro” che occupa, neppure a scapito dell’equilibrio di bilancio (costretto al sudatissimo pareggio perché di debiti, anno dopo anno, ne ha ormai sopra i capelli).
Da qui alcune “modeste proposte” mirate ad aumentare i ricavi senza entrare nelle tasche degli abbonati. La principale quanto a gettito, ma anche la più ovvia, consisterebbe nel dare alla Rai il canone (tassa specifica, dotata di uno scopo) per intero anziché dirottarne buona parte (circa 110 milioni) in sussidi agli editori di giornali. Che forse è giusto che nell’interesse della Patria e dell’informazione siano soccorsi, ma chiedendo ai contribuenti i soldi per quel fine e non a spese del TG Rai, della Nazionale di calcio, di Montalbano e di Sanremo.
Di fronte alla umile realtà dei conti in mano si è vista quella surreale dei Vigilanti, autori di tre distinti tipi di reazioni.
La più trasparente era lo sgomento da parte di quelli che vedevano arrivata l’ora zero per i nodi da sciogliere oppure da tagliare. La più disarmante quella di chi – avendo preparato il compitino attorno alla polemica su Fedez, sulla fiction su Mimmo Lucano, sull’attesa festa delle nomine – si mostrava disturbato dall’intrusione di quelle questioni strutturali. E c’era poi la modalità-Gasparri, animata dal sospetto che il rigore amministrativo finisca a scompigliare la Rai finora cosa loro.
Nell’insieme si è potuta contemplare l’intera gamma che passa fra l’impotenza ad affrontare le questioni di sostanza e la pervicacia a torcere il futuro di un’azienda pubblica verso interessi di lobby e personali.
Questioni impossibili da eludere
Una volta che le questioni di merito sono state poste dall’azienda in modo non lamentevole, ma fermo, ora tocca alle risposte perché se la politica, chiaramente interpellata, resta muta, il perimetro della Rai, attuale o concepibile in futuro, dovrà a breve e per forza essere ristretto a spese di chi produce dentro e da chi fornisce programmi dal di fuori.
Detto dello smarrimento e/o della gaglioffaggine esibiti in quella Vigilante Commissione, resta da chiedersi se altre corpi siano più pronti a misurarsi coi problemi.
Per esempio i sindacati che si trastullano con il mito dell’aumento della produzione interna, come se questo anziché produrre risorse non ne richieda di nuove e apposite sotto forma di investimenti e di radicali ricollocazioni di migliaia di persone rispetto ai tran tran attuali che le impegnano.
Oppure i produttori di fiction e serie che devono gran parte dell’ultima fortuna alla presenza dei 400 milioni annuali investiti dalla Rai.
Si tratta, è vero, di gente adusa ad agire fuori dal clamore. Ma una volta contemplata la situazione dei parlamentari “Vigilanti” è d’obbligo il sospetto che l’assenza di rumore possa derivare da un più banale placido dormire.
Di sicuro la faccenda non riguarda solo loro, perché è interesse generale che il Paese non disperda i motori principali di quel tanto di soft power che riesce a generare nei campi della cultura e dell’intrattenimento. Che distinguono le nazioni dalle semplici scartine.
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