- Con metà della popolazione allo sbando, i siriani si sentono abbandonati dal mondo
- Il paese è per due terzi nelle mani del regime ma con ampie zone fuori dal suo controllo
- La Turchia cerca di liberarsi dal pantano siriano; gli occidentali sono indecisi;i russi resistono
L’attacco russo all’Ucraina del 24 febbraio ha distolto l’attenzione della comunità internazionale dagli altri conflitti, come la lunga guerra civile in Siria che ha superato gli undici anni. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha affermato al Consiglio di sicurezza che i siriani si sentono “abbandonati dal mondo”.
Com’è noto, la Russia è il principale sponsor del governo siriano e la presenza militare di Mosca garantisce a Bashar al-Assad di mantenersi al potere in un paese svuotato e diviso. Sui circa 22 milioni di abitanti, oggi oltre quattro sono riparati all’estero e almeno sei sfollati interni.
La grande distruzione
Guterres ha anche ricordato che la distruzione subita dal paese ha pochi eguali nella storia moderna. Le città e le infrastrutture della Siria sono letteralmente a terra e il tasso di povertà in Siria è del 90 per cento, con circa 15 milioni di siriani (tra sfollati e rifugiati all’estero) che dipendono dagli aiuti umanitari.
La Siria oggi è tra i dieci paesi più insicuri del mondo dal punto di vista dell’alimentazione alimentare. Dal punto di vista politico-militare la situazione è di stallo: il regime di Assad ha vinto in gran parte del paese (con l’aiuto russo e iraniano) ma persistono ampie zone fuori dal suo controllo.
Innanzitutto l’area di Idlib dominata dalla Turchia, dove hanno trovato riparo i resti delle milizie jihadiste e ribelli islamiche che avevano tentato di rovesciare il regime. Inoltre c’è l’area curda del Rojava, sostenuta dagli americani e da altri occidentali. Infine esiste un’area desertica non completamente governata da nessuno, dove si sta riorganizzando l’Isis.
L'unico modo per sbloccare tale incerta situazione non definitiva, ha detto Guterres, è attraverso un processo politico credibile che produca una pace sostenibile per tutti i siriani. Ma il processo politico delineato nella risoluzione Onu 2.254 è stato talmente rallentato e ostacolato da apparire oggi totalmente superato dagli eventi sul terreno.
Lacune diplomatiche
Nelle sue dichiarazioni pubbliche l’inviato speciale delle Nazioni unite per la Siria, Geir Pedersen, è sempre più pessimista: nessuno sembra avere interesse a chiudere la guerra. I negoziati politici di Ginevra vedono una certa attività residua di Mosca e del governo di Damasco ma da parte degli Stati Uniti o dell’occidente non c’è nessun impulso che offra a Pedersen il sostegno necessario per andare avanti.
La guerra in Ucraina peggiora le cose, anche se potrebbe offrire alla Turchia (il paese che ospita il maggior numero di profughi siriani, oltre 3,5 milioni) l’opportunità di liberarsi dal pantano siriano in cui si ritrova e che le è costato molte risorse. Mentre intensifica la pressione militare sui curdi siriani, il leader di Ankara, Recep Tayyip Erdogan, ha offerto un dialogo ad Assad dopo anni di interruzione di ogni rapporto. La Turchia considera i partiti curdi sostenuti dagli Stati Uniti come terroristi, collegati al Partito dei lavoratori del Kurdistan turco (Pkk) contro cui sta portando avanti una campagna militare nel Kurdistan iracheno.
L’aumento di reputazione diplomatica di Erdogan dovuta ai suoi sforzi di mediazione tra Russia e Ucraina favorisce Ankara, anche se Damasco non sembra affrettarsi a rispondere. Dopo la sostanziale vittoria sui gruppi armati e sulle fazioni jihadiste, l’atteggiamento del regime siriano è quello di lasciar decantare la situazione sperando di ottenerne i migliori effetti possibili. Assad aspetta che tutti si stanchino e prima o poi lascino la Siria: sia gli alleati ingombranti (a iniziare dagli iraniani) che gli ex nemici turchi e occidentali.
Nessuno sembra più ricordare che, ai sensi del Caesar Act americano, gli Stati Uniti dovrebbero usare tutti i mezzi coercitivi in loro possesso per costringere Assad ad andarsene e sostenere una transizione democratica. Ma l’amministrazione Biden ha abbandonato tale priorità in favore di una rinnovata campagna contro l’Isis rinascente. Anche dal punto di vista umanitario la situazione resta bloccata: Russia e occidentali litigano sugli accessi umanitari, ognuno difendendo i passaggi che controlla e rifiutando gli altri.
Contemporaneamente l’amministrazione Biden continua a respingere l’idea degli stati arabi del Golfo che desiderano normalizzare le relazioni con Assad. I presidenti delle commissioni per gli affari esteri della Camera e del Senato hanno scritto una lettera alla Casa Bianca per chiedere che gli Usa sanzionino «qualsiasi nazione che cerchi di riabilitare il regime di Assad». Gli elementi dell’impasse siriana sono talmente intricati da sembrare uno «stallo alla messicana».
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