- Dopo le elezioni regionali gli assalitori sono in rotta e il Pd respira.
- L’elettorato di centro-sinistra ha capito qual era la posta in gioco e si è affidato a chi presentava le migliori credenziali per farvi fronte. Ma non basta.
- Per ritornare competitivi e sconfiggere la destra va riparata la tela delle alleanze. E’ il primo compito della nuova leadership dei democratici.
Il calo nella partecipazione elettorale era prevedibile ma non di questa portata. In entrambe le regioni la differenza rispetto al 2018 è di circa il 30 per cento in meno.
Stanchezza dopo le politiche di cinque mesi fa? Sfiducia e disinteresse per l’istituto regionale? Scarso appeal dei candidati?
Tutte ragioni plausibili. Ma quando nelle due regioni più importanti d’Italia si scende abbondantemente sotto il 50 per cento dei votanti il problema della legittimità delle istituzioni si pone molto seriamente.
Soprattutto perché coloro che non votano si concentrano tra i ceti sottoprivilegiati, tra chi ha un livello modesto sia di istruzione che di reddito, e si sente tagliato fuori, messo ai margini dei processi decisionali.
Anche perché sono deperite le grandi organizzazioni, la chiesa e il partito cattolico da un lato, i sindacati e i partiti di sinistra dall’altro, che facevano educazione politica, smuovendo dall’apatia chi non aveva risorse cognitive, e li inseriva in un contesto collettivo di partecipazione e condivisione di obiettivi. E la rete non riesce - per ora - ad arrestare questa deriva.
Da questa valle di lacrime emergono i due vincitori annunciati. Come per le elezioni politiche l’unione del centro-destra fa la forza e, di contro, la dispersione del centro-sinistra lo porta alla disfatta.
La vera posta in gioco di questa elezione però non riguardava chi avrebbe vinto, bensì se il Pd avesse retto all’assalto di Terzo Polo e M5s.
La tenaglia di Calenda-Renzi-Moratti in Lombardia e di Conte nel Lazio non si è chiusa. Tutt’altro.
La lista Moratti galleggia intorno al 10 per cento , e Italia Viva-Azione sono ridotti a percentuali risibili; nel Lazio, i Cinque stelle crollano al 10 per cento.
Il Pd, invece, ritorna sopra il 20 per cento, e in Lombardia migliora addirittura le percentuali di cinque anni fa.
Tutto ciò nonostante il Partito democratico avesse la testa altrove. Anzi, non aveva più la testa, viste le dimissioni e l’inabissamento di Enrico Letta.
Era tutto preso dalla scelta del nuovo segretario. In questo stato confusionale poteva aspettarsi un’altra emorragia elettorale.
Invece, da un lato i dibattiti nei circoli dei Pd – eventi ignoti agli altri partiti – hanno riverberato all’esterno l’immagine di un partito ancora vitale, seppure a ranghi ridotti; e dall’altro, la destra al governo ha convinto molti che è necessario rinforzare l’unica, possibile, alternativa, sia che si presenti con la solidità e il pragmatismo di Stefano Bonaccini, o con la freschezza e il dinamismo di Elly Schlein.
Gli assalitori sono in rotta e il Pd respira. L’elettorato di centro-sinistra ha capito qual era la posta in gioco e si è affidato a chi presentava le migliori credenziali per farvi fronte. Ma non basta.
Per ritornare competitivi e sconfiggere la destra va riparata la tela delle alleanze. E’ il primo compito della nuova leadership dei democratici.
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