- Con la sua visita a Draghi, il Cancelliere Scholz cercherà di consolidare un’agenda di riforme che sebbene non rivoluzionarie sono certamente significative, e che già vede Francia e Germania sostanzialmente allineate.
- Una posizione comune del trio sui grandi temi di attualità dei prossimi mesi è ancora da trovare. Sulle regole di bilancio è probabile che grazie alla convergenza dei tre assisteremo a passi avanti.
- Tutto lascia pensare che si andrà verso una “regola d’oro verde” che scomputi gli investimenti in transizione ecologica dal deficit. Un passo avanti benvenuto ma insufficiente.
Dopo aver reso visita a Emmanuel Macron all’indomani del suo giuramento, il neoeletto Cancelliere tedesco Olaf Scholz incontrerà domani il presidente del Consiglio Mario Draghi. L’agenda dell’incontro prevede molti temi, ma a dominare sarà la strategia di uscita dalla pandemia e la riorganizzazione delle istituzioni per la governance macroeconomica europea.
Scholz cercherà di consolidare un’agenda di riforme significative, e che già vede Francia e Germania allineate. Qualche giorno fa Macron ha presentato in conferenza stampa il programma della presidenza francese dell’Ue che inizierà a gennaio: sulle regole di bilancio, come sul salario minimo europeo, il presidente francese ha delineato un programma compatibile con l’accordo della coalizione semaforo tedesca di cui il Diario Europeo si è occupato due settimane fa.
Se trovasse una convergenza anche con la terza economia dell’Unione europea, Scholz avrebbe più facilità nel superare le probabili resistenze di una componente della sua coalizione (e in Europa dei paesi “frugali”) ad una modifica delle regole europee in senso meno restrittivo.
Verso una “regola d’oro verde”
Nel marzo 2020 la Commissione europea ha attivato la clausola di sospensione del Patto di stabilità, per lasciar mano libera ai governi europei nel contrasto alle conseguenze del Covid. Il Patto dovrebbe tornare a mordere nel 2023.
La sospensione delle regole è arrivata quando Bruxelles aveva già lanciato (prima della pandemia) una consultazione per la loro riforma. Il Patto nella sua forma attuale è oggi considerato inadatto dalla maggior parte dei commentatori e dei leader politici europei.
Le istituzioni disegnate negli anni Novanta, infatti, già ammaccate dopo la calamitosa gestione della crisi greca, appaiono oggi relitti di un’altra era.
Il Patto si è dimostrato prociclico, forzando i paesi a politiche restrittive durante la crisi e non riuscendo ad incentivare comportamenti virtuosi quando le cose andavano meglio. Ha spinto i governi a ridurre i disavanzi con tagli all’investimento pubblico, una strategia elettoralmente meno costosa del taglio di salari e prestazioni sociali.
Infine, il Patto di stabilità negli anni è diventato un sistema di regole barocco e inefficace, basato su variabili arbitrarie che rendono impossibile una valutazione oggettiva del rispetto o meno delle regole.
Durante la sua conferenza stampa, Macron ha ribadito che occorrerà tornare a delle regole che consentano la convergenza delle politiche di bilancio, per poi affermare che il quadro riformato dovrebbe dare priorità agli investimenti necessari per sostenere la crescita, in particolare nella transizione ecologica e nel digitale.
Le parole di Macron ricalcano quasi alla lettera il paragrafo dell’accordo di coalizione del nuovo governo tedesco dedicato alle regole europee; non è difficile prevedere che al termine dell’incontro di domani Draghi e Scholz ribadiscano lo stesso concetto.
A questo punto si aprirà la strada per una proposta della Commissione che emendi il quadro attuale prevedendo una “regola d’oro verde” che scomputi gli investimenti nella transizione ecologica (e forse nella digitalizzazione) dai parametri del Patto.
Abbiamo già avuto modo di commentare (Domani dell’11 settembre 2021) che questa sarebbe un’evoluzione importante ma probabilmente insufficiente per consentire agli Stati membri di colmare deficit di infrastrutture e di capitale sociale che hanno accumulato negli scorsi decenni. Occorrerà fare di più.
Divergenze in vista sul salario minimo europeo
Il tema sul quale trio franco-tedesco-italiano potrebbe faticare di più a trovare una posizione comune è quello del salario minimo europeo. Il parlamento europeo ha recentemente approvato una proposta di Direttiva, ora all’esame dei Paesi membri, sull’istituzione di un salario minimo che in ogni paese dovrebbe essere pari ad almeno il 60 per cento del salario mediano e al 50 per cento del salario medio (si avrebbe quindi un salario minimo diverso e legato al livello delle retribuzioni in ogni paese e non, come da alcuni erroneamente e più o meno in buona fede sostenuto, lo stesso livello per tutti).
La direttiva non richiede l’introduzione del salario minimo ai sei paesi, tra cui l’Italia, che al momento non lo hanno, ma chiede che in questo caso sia rafforzata la contrattazione collettiva.
Il nuovo governo tedesco, su pressione di socialdemocratici e Verdi, ha promesso un sostegno convinto alla direttiva e pianificato un aumento significativo del salario minimo in Germania. Anche la Francia (uno dei pochi paesi europei dove il livello attuale del salario minimo risponde già ai criteri della proposta di Direttiva) ha espresso la stessa intenzione.
Ancora una volta, la scelta delle parole di Macron durante la conferenza stampa ricalca quella dell’accordo di coalizione tedesco.
Cosa pensa Draghi
Sul salario minimo invece è difficile che Draghi possa impegnarsi esplicitamente. Nella migliore delle ipotesi il premier italiano non è capace di ricomporre i dissensi all’interno della sua maggioranza eteroclita: a Cinque stelle e Pd che chiedono l’introduzione del salario minimo si oppongono gli altri partiti della maggioranza, impegnati anzi nella battaglia per la riduzione delle tasse ai ceti medio alti e il ridimensionamento del reddito di cittadinanza.
Nella peggiore delle ipotesi, Draghi condivide le posizioni di questi ultimi e non ritiene il sostegno dei redditi più bassi una priorità per il nostro paese.
In entrambi i casi, è plausibile che lo stallo della maggioranza si tradurrà al massimo in un sostegno tiepido alla proposta di Direttiva, se non addirittura al silenzio del nostro governo sul tema.
Insomma, una posizione comune del trio sui grandi temi di attualità dei prossimi mesi è ancora da trovare. Sulle regole di bilancio è probabile che grazie alla convergenza dei tre assisteremo a passi avanti, sia pure insufficienti; nella battaglia di civiltà per il salario minimo europeo c’è invece da sperare che il motore franco-tedesco non abbia bisogno del pistone italiano, che temiamo possa non essere disponibile.
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