- Matteo Renzi e Carlo Calenda sono i neuroni specchio della politica, a ogni azione (con la minuscola) dell’uno corrisponde una reazione dell’altro. Ma l’inconfessato modello di riferimento di Renzi, non inganni l’antipatia pubblica tra i due, è un altro.
- Entrambi hanno da giovani conquistato Palazzo Chigi senza passare da un voto, entrambi hanno stretto un patto per le riforme con Berlusconi (fallito), entrambi si sono fregiati di una generica identità riformista e sono finiti con un grande futuro dietro le spalle.
- Mancava a Renzi la direzione di un giornale, che D’Alema ebbe a quarant’anni con l’Unità, il vulnus è superato. Ora Renzi, come il D’Alema del tramonto, è alla ricerca di una maschera dietro cui nascondersi.
Matteo Renzi e Carlo Calenda sono i neuroni specchio della politica, a ogni azione (con la minuscola) dell’uno corrisponde una reazione dell’altro. Ma l’inconfessato modello di riferimento di Renzi, non inganni l’antipatia pubblica tra i due, è un altro. È Massimo D’Alema. Divisi da tutto, i due condividono uno strano destino, un’oscura voglia di auto-demolizione. I loro fan, consiglieri, spin doctor, lobbisti, giornalisti, spesso traslocati dall’uno all’altro, li considerano i più intelligenti, i più furbi della compagnia, in nome del primato della politica.
Eppure entrambi hanno da giovani conquistato Palazzo Chigi senza passare da un voto e sono stati costretti a lasciarlo dopo un rovescio elettorale (le regionali del 2000 per D’Alema, il referendum del 2016 per Renzi), entrambi hanno stretto un patto per le riforme con Berlusconi (fallito), entrambi si sono fregiati di una generica identità riformista e sono finiti con un grande futuro dietro le spalle.
Il direttore
Mancava a Renzi la direzione di un giornale, che D’Alema ebbe a quarant’anni con l’Unità, il vulnus è superato. Ora Renzi, come il D’Alema del tramonto, è alla ricerca di una maschera dietro cui nascondersi, per fare e soprattutto per disfare: il potere di far fallire le feste. Calenda si è meravigliosamente prestato allo scopo: senza l’alleanza dell’estate 2022 con Azione Italia Viva sarebbe rimasta fuori dal Parlamento.
In vista delle europee del 2024 serve un’altra maschera. Per costruire la gamba italiana del progetto che punta a riscrivere la costituzione materiale europea, passare dalla storica alleanza popolari-socialisti all’asse Ppe-conservatori, con il partito di Giorgia Meloni protagonista dell’operazione. Una nuova maggioranza Ursula prima in Europa, poi in Italia, come avvenne nell’estate 2019, quando la Lega di Matteo Salvini operò un suicidio politico, restando fuori dall’accordone a Bruxelles e un mese dopo fuori dal governo italiano. Anche in questo caso Salvini potrebbe essere la vittima designata del patto. Renzi ha bisogno di una lista alle europee in grado di scavalcare lo sbarramento del 4 per cento.
Paolo Gentiloni sarebbe il sogno, ma con Matteo ha già dato. La nuova lista dovrà avere un profilo meno liberale, perché Emmanuel Macron è in discesa e a fine mandato, e più popolare, nel senso di democristiano, che per Renzi è quasi un ritorno a casa: sarà un po’ come per D’Alema ritrovarsi con i compagni di Leu dopo aver predicato per una vita contro il minoritarismo di sinistra. Così a Renzi tocca affidarsi a Giuseppe Fioroni, in attesa che arrivi un po’ di berlusconismo e via verso una nuova avventura. Il sol dell’avvenire centrista del fu rottamatore, figlio se non di un dio almeno di un disegno minore, come il suo principale rottamato.
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