- In meno di una settimana Mario Draghi ha cambiato la strategia e le persone a cui è affidata la lotta alla pandemia e la ricostruzione:
- La squadra cui si era affidato l’ex premier Giuseppe Conte nell’anno del coronavirus viene spazzata via, ma non si tratta soltanto di spoil system, il cambio non è dai fedelissimi dell’avvocato del popolo a quelli dell’ex presidente della Bce.
- La svolta è da una gestione tutta centrata su palazzo Chigi e sulla figura del premier a un approccio che mobilita le strutture dello stato esistenti che finora erano state scavalcate dall’apparato parallelo costruito da Conte.
In meno di una settimana Mario Draghi ha cambiato la strategia e le persone a cui è affidata la lotta alla pandemia e la ricostruzione: ieri ha preteso le dimissioni del commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri, prima aveva sostituito il capo della protezione civile Angelo Borrelli richiamando Francesco Curcio e al coordinamento dei servizi segreti ha messo il capo della polizia Franco Gabrielli, al posto del diplomatico Piero Benassi.
La squadra cui si era affidato l’ex premier Giuseppe Conte nell’anno del coronavirus viene spazzata via, ma non si tratta soltanto di spoil system, il cambio non è dai fedelissimi dell’avvocato del popolo a quelli dell’ex presidente della Bce. La svolta è da una gestione tutta centrata su palazzo Chigi e sulla figura del premier a un approccio che mobilita le strutture dello stato esistenti che finora erano state scavalcate dall’apparato parallelo costruito da Conte.
Al posto di Arcuri arriva un generale, Francesco Figliuolo, comandante logistico dell’Esercito. “Un uomo macchina”, lo definisce chi lo conosce bene. Fin dall’inizio della pandemia, il ministero della Difesa ha avuto un ruolo. A Milano ha creato un ospedale Covid in meno di due settimane, lo scorso anno, come ha ricordato il Sole 24 Ore. Via il commissario mediatico, quello delle conferenze stampa settimanali, delle interviste tv, dei retroscena ispirati ai giornali, dentro il generale, l’alpino di cui non si trovano dichiarazioni.
Arcuri rimane, almeno per ora, al vertice di Invitalia, la società controllata dallo Stato che in teoria doveva portare in Italia investimenti dall’estero e che in pratica è diventata lo strumento del governo per gestire crisi insolubili, come quella dell’Ilva. I collaboratori del commissario presentano una versione quasi fluida del passaggio di consegne: Arcuri ha gestito una fase dell’emergenza nella quale la priorità era l’approvvigionamento (prima delle mascherine, poi dei vaccini) mentre ora si passa alla somministrazione che richiede altre capacità. Nella nota di congedo di palazzo Chigi ci sono anche i ringraziamenti di rito di Draghi.
La bocciatura
In realtà molti segnali indicano che da parte di Draghi c’è una sostanziale bocciatura dell’operato di Arcuri. Che da tempo non si occupava più soltanto di comprare (con risultati alterni) vaccini, ma da mesi aveva la responsabilità di attuare un piano di vaccinazioni destinato ad avere tempi lunghi.
Lo dimostra l’idea di costruire centri di vaccinazione, le famose primule, in giro per l’Italia: prima si diceva 1200, poi forse soltanto 21, i bandi sono appena partiti, non esiste neppure una. Draghi è convinto invece che non si possa neppure impostare la ricostruzione, e l’uso del Recovery Plan, fino a quando la pandemia non rallenta in modo significativo.
Per questo la campagna di vaccinazione deve accelerare, con qualunque mezzo, anche seguendo la strategia inglese di dare a più persone una dose singola invece che doppia a un numero inferiore. Per questo Draghi ha rimosso Arcuri, che era il terzo vertice di un triangolo di tensioni istituzionali e procedurali tra regioni e governo, in un continuo rimpallo di responsabilità per i risultati sotto le attese: dai banchi con le rotelle comprati per scuole ormai chiuse, alla app Immuni per tracciare i contagi che non ha mai funzionato (un’altra creatura del commissario), ai posti aggiuntivi per le terapie intensive creati per tempo soltanto nelle regioni che non si sono rivolte alla struttura commissariale di Arcuri.
Poi c’è un altro dettaglio: l’inchiesta della procura di Roma per traffico di influenze illecito nell’acquisto di 1,25 miliardi di euro in mascherine cinesi intermediato da un giornalista Rai in aspettativa, Mauro Benotti, che ha ottenuto 12 milioni di euro per la mediazione. Tra gennaio e maggio 2020 ci sono stati 1282 contatti tra Arcuri e Benotti. Il commissario è stato indagato per corruzione dalla procura, in un primo momento, che poi ha chiesto la sua archiviazione dopo aver ricevuto una lettera con la sua versione dei fatti (lo ha rivelato La Verità). Il giudice ancora non si è pronunciato.
Di fronte alle polemiche per le nomine dei sottosegretari, reduci da altre stagioni politiche, dallo staff di Draghi rispondevano con una osservazione: nessuno dei nominati ha pendenze giudiziarie.
Chiaro che al tema Draghi è sensibile, e forse il sequestro da 70 milioni di euro ai danni degli imprenditori coinvolti e la pubblicazione dei dettagli sui contatti tra Arcuri e Benotti avrà avuto un qualche peso.
Di sicuro ora Draghi si prende in carico tutta la gestione della pandemia, della fase Conte resta soltanto il ministro della Salute Roberto Speranza. Ma a differenza dell’ex premier, Draghi non si appoggia su un’unica figura ma su una squadra di esecutori che a loro volta controllano apparati importanti, l’esercito, i servizi segreti, la protezione civile.
L’ultimo tassello che manca è usare l’articolo 120 della Costituzione per ridurre il potere dei presidenti di regione in materia sanitaria e arginare le polemiche.
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