- I regimi pluralisti in cui vogliamo vivere si nutrono del confronto tra posizioni diverse. Non vivono di verità. E tutte, tutte le opinioni hanno diritto di circolazione.
- Invece avanza a grandi passi un imbarbarimento del nostro spazio pubblico dove risuonano antemi e censure.
- Sembra un brutto sogno leggere che la Rai vuole escludere qualcuno per le sue visioni putiniste, e che ci si scandalizzi per una intervista, per quanto in ginocchio, con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.
Prima o poi si arriva a George Orwell. Al centro dell’universo totalitario disegnato nel suo 1984 troneggia il Ministero della Verità , che si occupa di cancellare, emendare, ripulire ogni notizia sgradita. Un compito delicato ma essenziale. Stiamo andando in quella direzione?
Istituiamo una riedizione del Minculpop fascista, o almeno una imitazione casereccia del Disinformation Governance Board creato recentemente dal presidente Joe Biden? Così non ci sarà più chi turba le nostre menti con fake news, post-verità e propaganda. Avremo la versione autorizzata delle notizie e delle interpretazioni, magari anche dalla Nato Defense College, organismo certo indipendente e libero quant’altri mai dove, speriamo, non si sorvoli sulle carceri dell’alleato turco, piene come poche altre al mondo di giornalisti e attivisti per i diritti umani: ultimo in ordine di tempo, l’ergastolo - proprio così, l’ergastolo - a Osman Kavala, condannato con un processo farsa, come dice Amnesty International, per aver sostenuto le proteste contro il progetto immobiliare a Gezi Park.
Volere la verità sulla guerra, come su mille altre azioni umane, è una invocazione inutile perché, come ogni liberale dovrebbe sapere, non esiste “la” verità, a meno di trasvolare sulla trascendenza.
I regimi pluralisti in cui vogliamo vivere si nutrono del confronto tra posizioni diverse. Non vivono di verità. E tutte, tutte le opinioni hanno diritto di circolazione.
Invece avanza a grandi passi un imbarbarimento del nostro spazio pubblico dove risuonano antemi e censure. Sembra un brutto sogno leggere che la Rai vuole escludere qualcuno per le sue visioni putiniste, e che ci si scandalizzi per una intervista, per quanto in ginocchio, con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.
Siamo tornati agli ukase contro Dario Fo cacciato dalla Rai per aver parlato di sicurezza sul lavoro, o contro Beppe Grillo per aver scorticato i socialisti? L’invasione russa non deve corrodere le nostre convinzioni e i nostri principi.
Se un artista ucraino presente alla Biennale di Venezia lancia un manifesto in cui ci invita a cancellare la cultura russa, possiamo comprendere chi è toccato direttamente dalla violenza dell’aggressore, ma non possiamo assolutamente condividere le sue opinioni.
Nell’Occidente democratico non si cancellano Ferdinand Celine ed Ezra Pound per le loro scellerate opinioni politiche.
La libertà di pensiero e di espressione non prevede linee guida, controlli o concessioni. O è libera o non è. Il resto lo lasciamo ai putiniani di ogni colore.
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