- Il luogocomunismo su religione e lacitià flagella la politica consegnando problemi difficili a chi crede alle soluzioni facili. Riduce la stampa a miccia di indignazioni qualunquiste.
- Nel dibattito che si è riacceso dopo gli ultimi delitti islamisti in Francia sono emerse tre posizioni: l’intolleranza camuffata, i negazionisti giulivi e chi è tentato dal ricorso all’“ufficio moderazione”.
- A fronte di questo può stare solo una doppia scelta. Una scelta di principio, e cioè ridirci che i diritti di libertà su cui si fonda il pluralismo religioso sono indivisibili; e una scelta politica: la protezione dei processi riformatori che nascono nella libertà e che sono tutelati da quel vaccino infallibile che è la conoscenza.
Uno spettro s’aggira per l’Europa: il luogocomunismo. Il procedere per luoghi comuni flagella la politica consegnando problemi difficili a chi crede alle soluzioni facili. Riduce la stampa a miccia di indignazioni qualunquiste. Piega la giustizia a teatro del risentimento. E travolge il dibattito pubblico quando si arriva su nodi epocali: come quello che riguarda il pluralismo religioso europeo e il posto dell’islam al suo interno.
Un dibattito che si è riacceso dopo gli ultimi delitti islamisti in Francia e nel quale sono emerse le tre posizioni, ciascuna dotata di “esperti” a supporto, che si possono schematizzare così. La prima è quella dell’intolleranza camuffata: consapevole o ignara che l’islamofobia è l’incubatore dell’antisemitismo, questa tendenza è al fondo rincuorata da ogni attentato islamista perché conferma chi pensa che la libertà religiosa va data a chi se la merita e/o che ci sono responsabilità collettive per cui deve pagare ogni musulmano (esattamente come il terrorista pensa che ogni europeo sia un nemico).
La seconda è quella dei negazionisti giulivi: quelli per i quali, non c’è nulla da fare se non sperare che i sistemi securitari classici lavorino e nel frattempo, dimenticando Caino e Abele, scambiarsi assicurazioni sul fatto che tutte le religioni sono per la pace. Fuori asse si trova quel singolare monoteismo esclusivista che è la laicità: che deve imporre i suoi sacramenti e che davanti all’islam ripensa ad una costituzione civile del clero per formare gli “imam repubblicani” ed isolare gli imam refrattari: sperando che un degli Imam elevati dalla ignoranza occidentale al rango di papa-sunnita non faccia come Pio VI nel 1791 e apra un conflitto.
Tentati dall’“ufficio moderazione”
Fra l’una e l’altra, cose non meno lievi o grevi: il silenziatore messo all’antisemitismo d’importazione islamica e facile da saldare a quello autoctono; la tentazione di affidarsi all’ “ufficio moderazione” che dà la patente a chi firma una “carta dei valori” o vidima l’autocertificazione; l’inconsapevolezza di chi ha regalato una pregiata parola come “radicali”, ai terroristi; assassini; la esitazione nel leggere i mali dell’islam europeo nella concorrenza fra stati/confessioni che si contendono l’egemonia o il primato d’onore sui musulmani.
A fronte di questo può stare solo una doppia scelta. Una scelta di principio, e cioè ridirci che i diritti di libertà su cui si fonda il pluralismo religioso sono indivisibili: lo stato non può dosare la libertà-religiosa e non può restare inerme davanti a chi cerca di dirottare una comunità di fede (oggi l’islam) per portarlo in corto circuito.
Una scelta politica, e cioè la protezione dei processi riformatori che nascono nella libertà e che sono tutelati da quel vaccino infallibile che è la conoscenza.
Non la conoscenza che passa come un drone sulle “religioni”; ma quella profonda, intrinseca, competente dei patrimoni storico-teologici delle fedi. Memoria di assetti pacifici dimenticati (quando gli ebrei fuggivano dalla violenza dei cristiani per rifugiarsi in terra islamica), di violenze dimenticate, di dilemmi dottrinali. Esplorazione paziente di quello che suona intollerabile: la bestemmia contro la laicità, il dileggio del profeta, la posizione subalterna della donna.
Un paese come il nostro, con la sua laicità di una costituzione che la assume come “principio” senza citarla, con la sua capacità di conoscenza che la porta a guidare un lavoro europeo per dotare questo sapere di una infrastruttura specialistica, ha una responsabilità e una consapevolezza: sta alle istituzioni parlamentari e governative, nazionali ed europee, tenerne conto.
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