- Viviamo tempi strani: l’ipersensibilità sui temi del corpo, dell’identità e dei gruppi storicamente messi ai margini convive con un immobilismo di fatto.
- l’Ariston è un grande palcoscenico su cui viene proiettato l’immaginario contemporaneo nazionalpopolare e a guardare l’edizione di quest’anno non si può che restare desolati.
- Le donne vengono definite “co-conduttrici”, ma in realtà sono poco più che accessori, cambiate di sera in sera come accattivanti, luccicanti appendici. Le artiste in gara restano basse in classifica.
Viviamo tempi strani: l’ipersensibilità sui temi del corpo, dell’identità e dei gruppi storicamente messi ai margini convive con un immobilismo di fatto.
In interi, enormi strati della nostra società le cose continuano ad andare come sono sempre andate, ci si riempie la bocca col femminismo e la difesa dei diritti ma poi nei grandi fenomeni di massa poco o nulla è cambiato.
Sanremo sta confermando tutto ciò: l’Ariston è un grande palcoscenico su cui viene proiettato l’immaginario contemporaneo nazionalpopolare e a guardare l’edizione di quest’anno non si può che restare desolati.
La macchina ideativa e di potere rimane in mano agli uomini: sono gli uomini a decidere, condurre, affidare le parti. Le donne vengono definite “co-conduttrici”, ma in realtà sono poco più che accessori, cambiate di sera in sera come accattivanti, luccicanti appendici.
Hanno poco spazio e in quello spazio, circoscritto, concesso, sono chiamate anche a educare, rappresentare, dispensare contenuti necessariamente edificanti.
Come in un sistema planetario arcinoto, al centro, fissi, stanno i padroni di casa, le donne ruotano attorno, una via l’altra, selezionate per portare colore e, in questi ultimi anni, anche per dare il contentino alle istanze di cambiamento.
Cambiamento che viene in realtà eluso, scongiurato con ogni mezzo possibile: lo schema di fondo, la struttura profonda, rimangono assolutamente invariati, stabili nel loro antico equilibrio.
Al momento in cui questo editoriale viene scritto la classifica dei cantati in gara della terza serata – provvisoria, ma difficilmente ci saranno sorprese – sta poi ribadendo l’ancora enorme, sconfortante problema che l’industria musicale, e gli ascoltatori, di questo paese hanno con le artiste: nessuna donna in top 5, tutti i cantanti uomini attivi in questo momento sul mercato (ovvero non esordienti, e non ripescati dal passato) schizzati in cima e tutte le artiste donne crollate giù in basso, nonostante siano nomi importanti, con progetti importanti, produzioni importanti. In Italia le musiciste non vendono come gli uomini, è un dato di fatto, basta tenere d’occhio i dati.
Il riconoscimento generalista
Sul perché si potrebbero avanzare molte ipotesi, ma di base permane qualcosa di binario e stantio nella percezione comune: artisti come Ultimo o Mengoni hanno un pubblico trasversale, godono di un apprezzamento trasversale, artiste come Elodie, Levante – o, per citare una talentuosissima che a Sanremo non ci è ancora mai neanche arrivata, ovvero Margherita Vicario – è difficilissimo che arrivino a godere del riconoscimento generalista, della celebrazione riservata a quelli che contano (ovvero vendono) davvero.
Sono discorsi forse ormai prevedibili, è vero: ma il punto è proprio questo, ce lo continuiamo a dire, specie sui social, ma le cose si ostinano a non cambiare.
C’è tutta una comunicazione che riempie nevroticamente le nostre bacheche, in cui ci si accapiglia per una parola fuori posto, per la polemica del giorno, ma quando il gioco si fa duro sono sempre i maschi che cominciano a giocare.
E la settimana di Sanremo, a dispetto dei ritocchi di make-up femminista o di diversity, è proprio questo che ci sta mettendo davanti.
Il potere rimane faccenda maschile, anche quando si tratta di show business e canzonette.
Solo che oggi ha imparato a buttare un po’ di fumo negli occhi, a giocare il gioco facile dell’inclusività, riempiendo caselle, versando tributi, purché nulla osi metterlo davvero in discussione.
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