- Mercoledì il socialdemocratico Olaf Scholz verrà eletto nuovo cancelliere tedesco dopo aver portato a termine un complesso accordo di coalizione con Verdi e Liberali.
- Può darsi che la nuova coalizione “semaforo” resti bloccata per le divisioni interne.
- Ma potrebbe prendere invece corpo una “socialdemocrazia post-fordista” basata su una coalizione elettorale non contingente tra classe operaia della manifattura (in calo), nuovi addetti ai servizi a bassa qualificazione che sono invece in crescita, e nuovi ceti medi dipendenti.
Mercoledì il socialdemocratico Olaf Scholz verrà eletto nuovo cancelliere tedesco dopo aver portato a termine un complesso accordo di coalizione con Verdi e Liberali. Può darsi – come sostengono molti osservatori – che la nuova coalizione “semaforo” resti bloccata per le divisioni interne.
Potrebbe prendere invece corpo una “socialdemocrazia post-fordista” basata su una coalizione elettorale non contingente tra classe operaia della manifattura (in calo), nuovi addetti ai servizi a bassa qualificazione che sono invece in crescita, e nuovi ceti medi dipendenti, specie quelli occupati nelle attività socioculturali ma anche nei servizi alle imprese (qualcosa del genere si può già ritrovare in alcuni paesi scandinavi).
Dalla fine degli anni Settanta il ridimensionamento vistoso della classe operaia ha spinto la socialdemocrazia a guardare verso i ceti medi in crescita.
Si tenta la Terza Via - che Schroeder chiama Neue Mitte – ma i risultati sono deludenti. Le politiche de-regolative, specie quelle del mercato del lavoro, e le misure di ristrutturazione del welfare determinano perdite di voti consistenti verso la sinistra e la nuova destra radicale. Non si verifica però la crescita di consenso tra i nuovi ceti medi nella misura attesa.
Una parte di loro sembra attratta da forze come i Verdi, più sensibili ai temi ambientalisti e a un’offerta liberal sul piano dei diritti. Un’altra si orienta invece verso i liberali: non si fida della Spd.
Il crescente dualismo tra gli insider meglio garantiti e gli outsider dei servizi a bassa qualificazione priva il partito del consenso di una quota consistente e in crescita dei salariati più disagiati.
In questo quadro si può leggere l’operazione tentata da Olaf Scholz come la conclusione provvisoria di una lunga marcia di riavvicinamento della Spd verso i gruppi sociali meno privilegiati, iniziata dopo il declino alimentato dalle riforme di Schroeder. Basta leggere il lungo e dettagliato accordo di coalizione e la lista dei ministeri che dovrebbero andare alla Spd (tra cui quello del Lavoro) per notare come l’obiettivo primario dei socialdemocratici sia la ricomposizione e la difesa del mondo del lavoro. Con varie misure che riguardano non solo l’innalzamento del salario minimo, ma la difesa dei benefici pensionistici acquisiti, insieme però ai limiti più stringenti posti all’uso del lavoro a tempo determinato, e a una maggiore protezione sociale, anche a carico dell’erario, di quanti vi sono coinvolti.
Infine, forte è il sostegno alle relazioni industriali e alla contrattazione collettiva.
L’obiettivo di conciliare crescita e contrasto delle disuguaglianze richiede un’indispensabile alleanza con i ceti medi. Ma la strategia di Scholz sembra prendere atto dell’illusione di trasformare i partiti di sinistra in partiti a prevalenza di ceti medi.
Da qui il tentativo di muoversi con alleanze esterne, con quelle forze come Verdi e Liberali ritenute più affidabili rispetto alle loro preferenze da settori rilevanti dei nuovi ceti medi. Se funzionasse, le conseguenze sarebbero molto più rilevanti di quanto oggi si sospetti, non solo per la Germania.
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