- Con una petizione su change.org, il linguista Massimo Arcangeli e diversi accademici contestano l'uso dello schwa, ossia la ə, la e rovesciata, nei plurali al posto del maschile sovraesteso.
- Si dice che questa battaglia fatta in nome dell'inclusività è in realtà elitaria e dà risultati inadeguati se non comici. Io la penso al contrario.
- L'idea di usare lo schwa non è l'elaborazione di qualche capricciosa camarilla intellettualoide ma una delle proposte che emergono nei movimenti femministi, transfemministi, nelle assemblee dove da anni discutono insieme studentesse e operaiə, docenti e attivistə.
Da qualche giorni si discute di una petizione lanciata su change.org dal linguista Massimo Arcangeli e firmata da diversi accademici, che ora ha raccolto migliaia di adesioni. L'obiettivo polemico è l'uso dello schwa, ossia la ə, la e rovesciata, nei plurali al posto del maschile sovraesteso.
Si dice che questa battaglia fatta in nome dell'inclusività è in realtà elitaria e dà risultati inadeguati se non comici. Io la penso al contrario. L'idea di usare lo schwa non è l'elaborazione artificiale di qualche consesso accademico o di qualche capricciosa camarilla intellettualoide ma una delle proposte che emergono nei movimenti femministi, transfemministi, nelle assemblee dove da anni discutono insieme studentesse e operaiə, docenti e attivistə.
Difendere l'inerzia del plurale con il maschile sovraesteso vuol dire stare dalla parte di chi non riconosce il problema.
La schwa non è una norma né forse la soluzione migliore per affrontare questa questione. Molti usano altre soluzioni a seconda dei contesti: l'asterisco, le parafrasi, l'alternanza di maschile e femminile, il femminile sovraesteso. Anche Vera Gheno, che è la convitata di pietra di questa petizione, fa lo stesso.
Chi delegittima la questione, con risatine e alzate di spalle spesso, sostiene che questi testi sono mostruosi, dei frankenstein di non italiano, o usa espressioni raccapriccianti come "patologie neuroatipiche".
Per fortuna la lingua è viva, e la sperimentazione che viene dalla politica e dal mondo dei movimenti femministi è sorprendente. Nell'autunno scorso ero al convegno di Erickson sull'inclusione a Rimini, organizzato da Dario Ianes: l'ultimo intervento a chiusura è stato di Vera Gheno. Ha parlato di inclusività e di genere. E ha reso plastico quale può essere un registro linguistico inclusivo, che usi schwa, parafrasi, alternanza, e limiti o elimini moltissime delle espressioni dell'italiano marcate in modo maschile o sessista.
Prima pensavo che gli sforzi che ci vengono chiesti in questo momento per uscire dal privilegio, per mettere in discussione e in crisi un uso invalso di un italiano marcato in modo maschilista, rischiassero di produrre accrocchi artificiali. Non era così: non soltanto Gheno è stata efficace, ma anche coinvolgente. Quanto lo era stato Luca Serianni in un elegantissima lezione che aveva tenuto nel mio municipio in cui criticava l'efficacia dell'utilizzo dello schwa.
Questa è una sana dialettica, credo, ma in questa sana dialettica ci sono dei dati che vanno tenuti in considerazione: leggere i saggi di effequ che si pone la questione dell'inclusività linguistica non dà un senso di mal di mare per un italiano sbicchierato, è un'esperienza che nutre la nostra riflessione linguistica.
Da parte di Massimo Arcangeli sarebbe un atto di maturità ritirare la petizione e partecipare a qualche assemblea femminista e transfemminista in più o a qualche convegno dove si parla di dislessia. Sempre a Rimini, per esempio, con Fabio Bocci, Cristiano Corscri Corsini, Giulia Addazi ascoltavamo l'esperienza di chi lavora sulla dislessia che si confrontava con questo problema delle desinenze.
Per una persona con dislessia pronunciare lo schwa, ci chiedevamo, non comporta una problematica aggiuntiva? L’italiano ha insidie decisamente maggiori: abdicare, rabdomante, pneumatico, per dire le prime parole che vengono in mente. Che facciamo: scriviamo una petizione per eliminarle dall'italiano?
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