- La Cgil e la Uil proclamano lo sciopero generale contro la politica economica del governo Draghi e la Cisl le accusa di «radicalizzare lo scontro».
- Il tabù del conflitto sociale come peccato ha creato danni permanenti alla capacità del sistema di affrontare i nodi strutturali. E come sempre le schermaglie di queste settimane sono solo una metafora del conflitto, una guerra dei bottoni su partite tanto simboliche quanto insignificanti.
- La classe dirigente (tutta, Cgil compresa) sta facendo un gioco di simulazione con i soldi del Monopoli. Sullo sfondo, ovviamente, mosse, contromosse e mossette per l’unica cosa che interessa davvero, la partita del Quirinale.
La Cgil e la Uil proclamano lo sciopero generale contro la politica economica del governo Draghi e la Cisl le accusa di «radicalizzare lo scontro». C’è infatti una superstizione che da 40 anni inquina la scena, l’idea che il capitalismo possa e debba attraversare le crisi senza conflitto sociale. Come se la rabbia degli ultimi e dei penultimi non fosse un sintomo ma la malattia, diffusa da untori come il leader Cgil Maurizio Landini. La malattia invece è che ci sono, e c’erano prima del Covid, 6-7 milioni di disoccupati (ma le statistiche ne vedono la metà), compressione salariale, crescita delle diseguaglianze, inarrestabile precarizzazione del lavoro.
La ripresa di cui si favoleggia vede il Pil che corre più dell’occupazione, e i pochi nuovi posti di lavoro sono precari ed escludono le donne. Qualcuno crede davvero che una simile polveriera potrà non esplodere? E i leader sindacali dovrebbero, per senso di responsabilità, lasciare che la rabbia si incanali verso le piazze antivacciniste?
Il tabù del conflitto sociale come peccato ha creato danni permanenti alla capacità del sistema di affrontare i nodi strutturali. E come sempre le schermaglie di queste settimane sono solo una metafora del conflitto, una guerra dei bottoni su partite tanto simboliche quanto insignificanti. Ci si accapiglia con la stessa intensità sulla redistribuzione fiscale e sullo spot dell’operaio Renatino.
La realtà è altrove: chi guadagna 100mila euro lordi all’anno sta tra i 200mila italiani più ricchi e paga 36mila euro di tasse. Il governo, con la rimodulazione delle aliquote Irpef, gli ha regalato uno sconto di 200-300 euro all’anno, cioè niente. Poi Mario Draghi ha proposto di annullare il beneficio chiedendo indietro gli stessi soldi con il contributo di solidarietà, e i liberisti a gettone hanno ululato come se lasciare immutate le tasse ai 200mila italiani più ricchi fosse una rapina comunista.
Draghi ha subito lo stop e ha reagito allo sciopero segnalando che degli otto miliardi di sconto fiscale (a debito) regalati con la manovra sulle aliquote, ben 3,3 andranno a chi guadagna fino a 28mila euro l’anno, cioè l’80 per cento degli italiani. Significa che oltre la metà del regalo (a debito) andrà al 20 per cento più ricco della popolazione. Ognuno può giudicare se questa operazione sia di sinistra o antipopolare. Ma tutti dovremmo svegliarci: si sta litigando su pochi spiccioli presi a simbolo.
La classe dirigente (tutta, Cgil compresa) sta facendo un gioco di simulazione con i soldi del Monopoli. Sullo sfondo, ovviamente, mosse, contromosse e mossette per l’unica cosa che interessa davvero, la partita del Quirinale. Se continuano a giocare così sulla pelle di chi non sa letteralmente come far mangiare i propri figli, un giorno rimpiangeranno la pace sociale degli scioperi generali.
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