Prima ancora che il conflitto atomico, a preoccuparci dovrebbe essere la nostra inabilità a parlarci: per estinguerci basterà non collaborare nell’affrontare i problemi globali
L’umanità ha predetto la sua fine così tante volte che oggi fa fatica a considerare l’Apocalisse come davvero imminente. Ma, anche se per molti analisti la terza guerra mondiale oggi è più vicina di quanto non lo fosse durante la crisi dei missili di Cuba, ad angosciarci non dovrebbero essere solo le mire di Vladimir Putin sulla Finlandia, la Nato che valuta se intervenire in Ucraina o la Cina pronta a riprendersi Taiwan. Dovremmo preoccuparci anzitutto della nostra inabilità a collaborare, perché questa potrebbe annientarci ben prima che venga sganciata una sola bomba nucleare.
Le minacce presenti
Sopravvivere a un conflitto atomico, infatti, non è la sola sfida che l’uomo contemporaneo si trova ad affrontare. Anzi, a ben guardare, è l’unica che deve ancora incontrare. Altre minacce, come le conseguenze determinate dal cambiamento climatico o dalla rivoluzione digitale, sono già quotidianamente all’opera. Dati alla mano, i nuovi record del riscaldamento globale fatti registrare nel 2023 confermano la previsione di un incremento di tre gradi entro il 2050, con il conseguente collasso dell’ecosistema.
Gestire la crescita sfrenata dell’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi persino più urgente: il tasso di incremento delle capacità cognitive sintetiche è così rapido da sfuggire a qualunque previsione, mentre noi umani arranchiamo tra normative che le regolamentino e carenza di microchip che ne soddisfino l’appetito.
Problemi globali che necessitano di soluzioni altrettanto globali, al punto che, anche se la prossima guerra rimanesse “fredda”, sarebbero impossibili da affrontare senza la cooperazione tra quei “blocchi” che oggi rifiutano ogni dialogo.
Di fronte a minacce così urgenti, c’è chi si rassegna a invocare il “realismo” dell’Homo homini lupus di Hobbes, come se fosse la nostra indomabile natura selvaggia a condannarci. Una prospettiva quanto mai cieca se si considera che quello stesso progresso che ci sta distruggendo potrebbe salvarci, se meglio indirizzato.
Proprio nella stessa natura esistono infatti infiniti esempi di collaborazione: dalle piante in grado di scambiarsi informazioni e nutrienti in caso di minaccia, alle tregue tra predatori e prede quando la savana brucia o si profila un pericolo collettivo. A forza di pensare alla guerra, abbiamo dimenticato che la storia umana non è caratterizzata dai soli conflitti.
Storie nuove
Al contrario, ha sviluppato una progressiva “cultura della civilizzazione” che ci ha portati a ritenere sempre più esecrabile il ricorso alle armi. È il motivo per cui le spese militari globali ammontano oggi a poco più della metà di quelle destinate alla sanità: un dato che avrebbe fatto trasecolare i cittadini di un qualsiasi stato europeo nel secolo scorso, abituati a vedere gran parte delle proprie tasse trasformarsi in cannoni.
Dunque nulla è predeterminato. Così come questo incivilimento è il prodotto di un processo di costruzione culturale, lo sono anche le scelte opposte che ci fanno pericolosamente scivolare verso lo scontro. Di rado le guerre moderne sono scoppiate per necessità oggettive di terreni o risorse per sopravvivere. Più spesso perché si sono imposte credenze e narrazioni per cui il conflitto è inevitabile e le sue conseguenze tollerabili. Una profezia che, a furia di essere raccontata, continua inesorabilmente ad auto-avverarsi.
Oggi più che mai serve spezzare questo orientamento, prima di assuefarci all’idea che la conta dei morti ritenuti “accettabili” sia nell’ordine dei milioni, o che si uccida ogni spiraglio di dialogo sul destino sempre più precario del pianeta. Più che la buona volontà, ciò di cui abbiamo bisogno è di raccontarci storie nuove, diverse… meno incentrate esclusivamente su calcoli logico razionali, ma più visceralmente legate a quel prezioso istinto di sopravvivenza che accomuna l’intera specie umana.
Magari, non lasciando che la mente decida da sola e ricordandoci che siamo fatti anche di gambe, viscere e istinti. Dietro di noi la savana brucia e non c'è più il tempo per fermarsi a ragionare su chi ci convenga sbranare. Ci resta soltanto la possibilità di aiutarci, l’uno con l’altro, a correre verso il fiume il più velocemente possibile.
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