- La vaccinazione contro il Covid-19 può essere imposta obbligatoriamente. La salute è un bene non solo individuale, ma sociale: ciascuno può valutare cos’è meglio per sé, ma non è libero di nuocere alla salute altrui.
- Prima di imporre l’obbligo del vaccino va valutata, da un lato, la difficoltà di reperire mezzi e risorse per assicurarlo a tutti, somministrarlo forzosamente e irrogare le sanzioni; dall’altro lato, il rischio di alimentare sospetti, conflittualità e atteggiamenti anti-vaccinali.
- Anche la raccomandazione, accompagnata da una massiccia campagna persuasiva, potrebbe tradursi in un boomerang per il Governo, se non fossero soddisfatte le richieste di tutti quelli che si siano persuasi a farsi vaccinare.
Comincia a intravedersi la luce in fondo al tunnel del Covid-19: a breve inizierà la somministrazione del vaccino. Ma, con l’aumento delle speranze legate alla cura, aumentano pure i dubbi: da quelli attinenti alla logistica e all’organizzazione a quelli più strettamente giuridici. In particolare, la vaccinazione contro il Covid-19 può essere imposta obbligatoriamente?
Il tema va affrontato chiarendo come funziona il sistema delle vaccinazioni per i bambini. La legge (l. n. 119/2017) ne prevede dieci obbligatori e quattro non obbligatori, ma raccomandati. Salvo che non si dimostri l’impossibilità di sostenere il vaccino, ad esempio a causa di comprovate ragioni di salute, per i genitori che non vaccinano i figli è prevista una sanzione (da 100 a 500 euro); e a questi ultimi è preclusa la frequenza di nidi e scuole dell’infanzia, sia pubblici sia privati. Diverso è per le scuole di grado superiore: la mancata effettuazione di un vaccino obbligatorio comporta la sanzione economica, ma non impedisce l’accesso all’istruzione.
Il vaccino può essere imposto?
Per valutare la questione del vaccino contro il Covid-19 serve partire dalla Costituzione. L’art. 32 affida alla Repubblica il compito di tutelare la salute, «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», disponendo inoltre che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», e sempre entro «i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Dunque, l’art. 32 Cost. sancisce il diritto del singolo di scegliere se, quando e come curarsi, cioè anche il diritto di non curarsi, quindi pure di rifiutare la vaccinazione. Ma la stessa disposizione prevede che il diritto del singolo – che è anche libertà di cura, come detto - vada contemperato con il diritto degli altri e l’interesse della collettività alla salute.
In altre parole, la salute è un bene non solo individuale, ma sociale: ciascuno può valutare cos’è meglio per sé, ma non è libero di nuocere alla salute altrui o alla salute pubblica. Perciò la Costituzione prevede che, con certe garanzie, possa essere prescritto un determinato trattamento sanitario, quindi anche una vaccinazione.
La Consulta ha ritenuto che la legge impositiva di un trattamento non sia incompatibile con l’art. 32 Cost., se esso «è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri»; se non comporta conseguenze negative per la salute di chi vi è obbligato, «salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili»; se nell'ipotesi di danno ulteriore è prevista comunque «una equa indennità».
La legittimità di un obbligo vaccinale è stata ribadita anche dal Consiglio di Stato: «la Costituzione non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari obbligatori (anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini), per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli».
Alternative ci sono all’obbligo vaccinale
Assodato che un vaccino può essere imposto, quali alternative ci sono e quali criteri devono orientare la scelta, più o meno stringente?
Lo chiarisce ancora la Consulta: considerata la necessità di bilanciare i molteplici «valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni» - dalla salute pubblica alla libertà personale alla solidarietà sociale - il legislatore può valutare discrezionalmente le «modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive», selezionando «talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo», come avviene per le vaccinazioni dei bambini.
La valutazione della tecnica da adottare si deve basare sulla scienza, tenendo conto delle «diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte» nonché delle «acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica».
Se l'obbligo c’è
Dunque, se si opta per l’imposizione dell’obbligo di vaccino – mediante una legge, come previsto dalla Costituzione - serve motivare la necessarietà e la proporzionalità della limitazione alla libertà di cura del singolo rispetto al fine perseguito: l’immunità di gregge, per cui serve vaccinare una certa percentuale di individui.
Inoltre, devono essere vagliati altri profili connessi all’obbligatorietà: da un lato, la difficoltà di reperire mezzi e risorse per assicurare il vaccino a tutti, somministrarlo forzosamente, irrogare le sanzioni; dall’altro lato, il rischio di alimentare sospetti, conflittualità e atteggiamenti anti-vaccinali. In alternativa, si può imporre la vaccinazione solo ad alcune categorie di persone, in relazione all’attività professionale svolta (personale sanitario ecc.), facendo scaturire dalla mancata vaccinazione, ad esempio, l’inidoneità alla mansione; o scegliere la via della raccomandazione, accompagnandola con un’ampia campagna di informazione.
Obbligo o raccomandazione
Come ci si orienterà in concreto, fermo restando che, qualunque sia la soluzione individuata, vanno risolti – tra gli altri – i problemi attinenti alla distribuzione, alla catena del freddo, all’individuazione dei centri vaccinali, all’anagrafe dei vaccinati?
Per imporre un obbligo generalizzato il governo dovrebbe essere in grado di garantire il vaccino a tutti, superando difficoltà e rischi sopra evidenziati, e ciò non è affatto certo. Ma anche ove esso scelga la via della raccomandazione, il problema sarà lo stesso: una massiccia campagna persuasiva, che facesse leva sulla responsabilità individuale, potrebbe tradursi in un boomerang per il Governo, se quest’ultimo non fosse in condizione di soddisfare le richieste di tutti quelli che si siano persuasi a farsi vaccinare.
L’esecutivo potrebbe anche fissare criteri di precedenza nella somministrazione (operatori sanitari, anziani, disabili ecc.), con trasparenza e sulla base di evidenze scientifiche, garantendo che gli appartenenti a categorie preferenziali siano vaccinati tempestivamente. Ma quale valore avrà tale garanzia, considerato che a fine novembre molte persone fragili sono ancora in attesa del vaccino anti-influenzale, nonostante ad esse spetterebbe riceverlo in via prioritaria?
Con questi presupposti, quale fiducia si può nutrire nelle capacità organizzative del governo – e del commissario Domenico Arcuri, bene non dimenticarlo - per le vaccinazioni anti Covid-19?
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