Di che parliamo quando parliamo di sicurezza? A stare a molti osservatori e a gran parte dei politici, sicurezza significherebbe essenzialmente controllo dei confini e respingimento dei migranti, che scappino da guerre e persecuzioni o che fuggano la miseria, o più semplicemente che abbiano voglia di vivere altrove.

È così che sono state valutate le ultime prese di posizione del cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha chiuso i confini in Germania, del primo ministro inglese Keir Strarmer che minaccia di espellere i clandestini dal Regno Unito e loda le soluzioni albanesi della presidente Meloni, nonché le dichiarazioni di Kamala Harris, candidata alla presidenza degli Usa, che assicura di voler difendere le frontiere dai clandestini e afferma di essere pronta a sparare contro chi dovesse entrare di nascosto a casa sua.

Un interessante articolo di Giuseppe Sarcina sul Corriere della sera del 21 settembre sottolinea come tutte queste prese di posizione provengano da personalità della sinistra e invita quindi anche la sinistra italiana a occuparsi di sicurezza e a non lasciare alla destra questo argomento.

Che la sicurezza dei cittadini giochi un ruolo rilevante per il loro benessere e che possa determinare spostamenti anche importanti di voti e di consenso politico è ben risaputo. Che una maggiore sicurezza passi essenzialmente per il controllo delle frontiere è invece molto discutibile.

Certo, dopo anni di campagna da parte di chi afferma che la sicurezza è peggiorata a causa degli immigrati clandestini (o anche regolari, posto che questa propaganda non fa distinzione), v’è nella popolazione un sentimento diffuso di insicurezza di fronte a essi.

Ed è anche vero che lo straniero finisce sempre per incutere un senso di insicurezza, per la difficoltà a interpretare i suoi comportamenti e per la diversità culturale che può portare a incomprensioni e a forme di intolleranza. Sicché l’idea che chiudere le frontiere ed essere più sicuri sia la stessa cosa tende ad affermarsi.

Ma in realtà anche chiudendo tutte le frontiere e non facendo entrare più nessuno straniero (o cacciando via tutti gli stranieri) la nostra sicurezza non migliorerebbe di una virgola, come i molti reati e i molti crimini e drammi umani che caratterizzano la nostra società stanno purtroppo a dimostrare. Senza per questo pensare che oggi siamo molto meno sicuri di ieri, dato che le generazioni passate hanno avuto livelli di sicurezza sicuramente peggiori rispetto a quelli delle generazioni attuali, pur se lo abbiamo dimenticato.

Territorio

Ma, se dobbiamo parlare di sicurezza, ed è bene che se ne parli, allora bisogna parlare di altro. In primo luogo, di controllo del territorio, che è stato abbandonato, al punto che neppure più il controllo del traffico automobilistico nelle grandi città si giova della presenza di agenti metropolitani capaci di intervenire nei punti più congestionati. È necessario che agenti di polizia locale e nazionale siano presenti nei quartieri e nei villaggi in modo da trasmettere un senso di controllo e garantire interventi rapidi.

Si ha invece la sensazione che i pur numerosi vigili urbani e agenti di polizia presenti nelle statistiche del pubblico impiego siano assenti dalle strade e allocati a funzioni diverse da quelle di tutelare i cittadini. Ristabilire una polizia di quartiere e far circolare a piedi e/o in auto gli agenti che assicurano l’ordine pubblico rappresenterebbe un contributo rilevante alla sicurezza dei cittadini e alla loro percezione.

È poi necessario che chi delinque abitualmente sia messo nelle condizioni di non ripetere i suoi delitti. Osta a questo obiettivo l’affollamento delle carceri, dove i detenuti sono già in numero esorbitante, sicché chi commette reati relativamente minori (furti, aggressioni o altro) viene spesso rimesso in libertà e continua a commettere i suoi reati per assenza di pena, con ciò generando un diffuso senso di insicurezza e malessere presso i cittadini che non si sentono tutelati.

Per un paese che è afflitto da questa carenza di luoghi di detenzione, v’è da domandarsi perché non si provvede rapidamente a costruirne di nuovi e più civili. Non può essere un problema di risorse finanziarie o di iniziativa politica: per un paese che sta costruendo diversi centri di detenzione in Albania per rinchiudervi non già persone che hanno commesso delitti in Italia, ma persone che hanno affrontato drammi e pericoli per arrivare ai nostri confini senza avere i permessi per entrare, non possono esserci scuse a giustificare la carenza e l’inadeguatezza di luoghi di detenzione. Una maggiore certezza della pena ridurrebbe i crimini e genererebbe maggiore sicurezza.

Integrazione

Ma la maggiore sicurezza si ottiene soprattutto con una popolazione più istruita, più tutelata socialmente ed economicamente, più integrata. Questo significa investire nell’istruzione, assistere i poveri in modo che abbiano un lavoro e un reddito, concedere i permessi di soggiorno al maggior numero delle persone straniere che già sono sul nostro territorio per regolarizzarle, sottraendole così alla clandestinità che favorisce le azioni criminali e integrandoli culturalmente e socialmente, attribuire la cittadinanza italiana a quanti sono ormai da tempo nel nostro paese e hanno stabilità e capacità di inserimento nella nostra società.

Chiudere le frontiere e respingere i disperati che si presentano ogni giorno o, peggio, lasciarli morire nel tentativo di raggiungere i nostri paesi non dà sicurezza ai cittadini italiani, ma fa crescere la massa dei disperati pronti a tutto pur di sopravvivere, e, con ciò, crescerà l’insicurezza nostra e loro. È ora di fare una vera politica per la sicurezza, non solo chiacchiere da bar.

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