- Il coronavirus è la tempesta perfetta per la diffusione globale di teorie cospirative, avendo colpito società in cui il senso del vero e del falso era già compromesso.
- A favorire la credenza nei complotti è anche il grave senso d’incertezza e la condizione di isolamento e distanziamento forzato in cui vivono intere popolazioni.
- Per contrastare le false teorie il “debunking” non basta. Serve sostegno benessere mentale e fisico, e trasparenza del processo decisionale.
Dal governo cinese ai piani di Bill Gates, passando per il 5G e il business dei vaccini, fino alla ’ndragheta o a Satana in persona. La trama delle teorie cospirative sull’origine dell’epidemia di Covid-19 si infittisce di personaggi sempre nuovi.
La storia millenaria delle epidemie è intessuta di dicerie, false accuse, ricerca di capri espiatori. Con conseguenze non di rado tragiche, come narra il Manzoni della Storia della colonna infame: «Il sospetto e l’esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni».
Quello a cui stiamo assistendo, quattro secoli dopo la peste del Seicento, potrebbe sembrare un fenomeno analogo di irrazionalità collettiva, solo alimentata e diffusa su vasta scala.
Parlare di irrazionalità, però, non aiuta a cogliere la sfida specifica delle teorie del complotto contemporanee, le quali sono, sì, false nelle premesse, ma spesso perfettamente logiche nel loro svolgimento.
La logica interna
È proprio questa stringente logica interna che ne decreta il successo. All’origine c’è una premessa falsa ma plausibile, perché capace di rimandare ad effettivi rapporti di potere tra attori globali. A partire da questa premessa sono dedotte conseguenze e costruiti legami di causalità tra fenomeni che appaiono, altrimenti, piuttosto casuali.
Per Hannah Arendt, la capacità di riscrivere i fatti, dotandoli di maggiore plausibilità, di «una coerenza che non esiste affatto nel regno della realtà», è ciò che rende la menzogna politica più persuasiva della verità. I fatti hanno una fastidiosa contingenza che li rende odiosi, non solo al potente che vorrebbe poterli cancellare o cambiare, ma anche a un pubblico bisognoso di dare senso agli eventi. Il problema, scrive Arendt, è il nostro «timore di perderci nelle contraddizioni».
Il coronavirus è oggi la tempesta perfetta per la diffusione globale di teorie cospirative. Innanzitutto perché ha colpito società il cui senso del vero e del falso era già stato abbondantemente compromesso dal fenomeno della “post-verità”, cioè dei dati distorti, dei fatti riscritti, della realtà piegata a servire l’interesse politico, di cui la presidenza di Donald Trump ha offerto gli esempi più eclatanti.
Ma l’epidemia è la tempesta perfetta anche perché produce un grave senso d’incertezza, costringendo al contempo intere popolazioni a vivere in condizioni di isolamento e distanziamento forzato.
In un articolo pubblicato su Nature, la psicologa Aleksandra Cichocka, tra gli autori del Routledge Handbook of Conspiracy Theories, afferma che all’origine delle credenze nelle teorie complottiste si trovino: il bisogno di comprendere il mondo, quello di sentirsi sicuri, e quello di sentirsi bene con se stessi e il proprio gruppo di appartenenza.
Tutti questi bisogni sono stati esasperati dalla serie di eventi che hanno costretto il mondo a fermarsi per effetto di un microrganismo invisibile trasmesso da un semplice pipistrello.
L’apparente insensatezza di questa catena causale, che mina il senso di sovranità umana sulla natura e sulla storia, spiana la strada a spiegazioni apparentemente più convincenti, che rimandano ad attori reali, menti malvagie dotate di intenzionalità.
È possibile ovviamente contrastare le teorie della cospirazione con azioni di “debunking” (decostruzione) o di “prebunking” (allerta verso i contenuti ingannevoli). Ma lo studio di Cichocka indica altri rimedi come necessari: il sostegno al benessere mentale e fisico delle persone, il senso di solidarietà e appartenenza, e la trasparenza del processo decisionale.
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