- Il vittimismo di cui spesso si parla è, a mio modo di vedere, una caratteristica del nostro tempo, strettamente legata al modo di fare informazione nell’era web e distribuita in egual misura in tutti quelle tesi antisistema che si oppongono alla «narrazione dominante».
- Ne abbiamo un esempio nelle posizioni assunte in questi mesi da Michele Santoro ed in questi giorni riguardo la sua “staffetta dell’umanità”.
- Al netto di tutti i discorsi, dobbiamo constatare la crisi di un paradigma su cui si è costruito il nostro modo di fare informazione negli ultimi due secoli.
Anche su questo giornale si è spesso parlato, a ragione, del vittimismo della destra. A mio modo di vedere, però, si tratta di una caratteristica più ampia del nostro tempo, strettamente legata al modo di fare informazione nell’èra web e distribuita in egual misura in tutte quelle tesi antisistema (espressione assai generica per definire un mondo più che eterogeneo), che si oppongono alla «narrazione dominante».
Un esempio plastico lo abbiamo avuto nelle recenti posizioni di Michele Santoro, tornato al centro della cronaca per le sue posizioni pacifiste riguardo la guerra in Ucraina. Da diversi mesi, Santoro denuncia l’omologazione dell’informazione, rimpiangendo persino la cara e vecchia lottizzazione (a dire il vero mai finita), che, per lo meno, dovendo dare a ciascuno il suo secondo con la tecnica Cencelli, creava lo spazio per narrazioni differenti.
C’è spazio per tutti
In questi giorni la denuncia ha esplicitamente preso di mira la, a dire dei promotori, mancata informazione riguardo la staffetta per la pace programmata per domenica 7 maggio in varie parti d’Italia. Paradosso dei paradossi, la denuncia l’ho io stesso appresa da Santoro, spesso invitato nelle trasmissioni televisive.
Al di là dell’ironia, cominciamo col dire che, dati alla mano, non è mai esistita nella storia umana una tale massa di informazione come ai giorni nostri, dove chiunque può crearsi un esercito di follower propagandando le tesi più strampalate. Gli esempi si sprecano e non credo serva citarli.
Secondo: mai come oggi, l’informazione si è così tanto adagiata sugli umori popolari, media tradizionali compresi, anche perché è loro sembrato l’unico modo di resistere all’assalto del web, che ha eroso in misura sempre maggiore laloro audience.
Tesi a cui prima non sarebbe stato concesso spazio di parola perché totalmente insensate, oggi spopolano persino su quotidiani (alcuni, anche in Italia, vivono proprio di questo) e televisioni (alcune, anche in Italia, vivono proprio di questo).
Ci fa o ci è
Nessuno ricorda grandi dibattiti da Piero Angela fra i sostenitori dello sbarco sulla luna e i loro negazionisti, infinite, invece, le ospitate di No-vax, no mask, negazionisti del virus messi in dialogo con illustri virologi, immunologi, epidemiologi, replicando la polarizzazione di cui il web si nutre.
Allo stesso modo, hanno avuto licenza, in barba a qualunque numero e principio di realtà, deliranti tesi sull’immigrazione, falsi cospirazionismi in cui è ricomparso l’immancabile antisemitismo con il finanziere e filantropo Soros nelle parti di Shylok e, per venire alla guerra da cui siamo partiti, un’inusitata dose di propagandisti del Cremlino a cui venivano contrapposti giornalisti o blogger ucraini che spesso discutevano direttamente da sotto le bombe.
Ora, con un dibattito sempre più spinto dal verificarsi di fenomeni estremi, si replica lo stesso schema con la crisi climatica. Il tutto in nome di una complessità che pare sempre più la parola adatta per tutte le stagioni. Quanto tutto questo dipenda dall’inseguire uno share da cui dipende la propria sopravvivenza, unica costante fra l’èra televisiva e quella web, o dal crederci veramente è come porsi l’eterna domanda sul ci fa o ci è, che, notoriamente, non ha risposta definitiva perché è come chiedere al mentitore se sta manentendo.
La soluzione
Più serio, credo, sarebbe constatare la crisi di un paradigma che ha regolato il nostro modo di fare informazione negli ultimi due secoli. La libertà di espressione tanto invocata dai Donald Trump e sfruttata dagli Elon Musk di turno, appare oggi il principale nemico di un’informazione che assolva al suo compito nei confronti dei cittadini. Invocare ritorni di censure preventive è un abominio che non vogliamo nemmeno sentire nominare.
L’unica via d’uscita sembrerebbe un’analisi critica dei nuovi mezzi d’informazione che consenta ai cittadini di distinguere, nel maremagnum di notizie a cui siamo sottoposti, ciò che è vero da ciò che è falso. Se è vero, citando Gaber, che «quest’assalto di tecnologia ci ha sconvolto la vita», chi ha ruoli di responsabilità non può introiettare tesi irrazionali. Al netto dell’onnipresente vittimismo.
© Riproduzione riservata