- Per il Pd l’alternativa è chiara. E impervia. O costruire un fronte alternativo alla destra, o andare da solo stringendo eventualmente qualche accordo limitato e contingente che non snaturi il partito né lo obblighi a compromessi defatiganti.
- Le ragioni per costruire un fronte repubblicano di salvezza nazionale non si limitano all’abisso ideale che divide la sinistra dalla destra bensì al calcolo delle probabilità di vittoria.
- Il Pd ha di fonte a sé queste due strade. Ne scelga una. Soprattutto, eviti di impastoiarsi con richieste e ricatti da parte di quelle piccole formazioni che hanno il solo scopo di piazzare qualche candidato in collegi sicuri.
Per il Pd l’alternativa è chiara. E impervia. O costruire un fronte alternativo alla destra , o andare da solo stringendo eventualmente qualche accordo limitato e contingente che non snaturi il partito né lo obblighi a compromessi defatiganti.
Nel primo caso il Pd deve impegnarsi a fare da collante ad una variopinta schiera di forze politiche che per varie ragioni, ideali e di convenienza, si vogliono contrapporre alla trimurti di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia.
Le ragioni per costruire un fronte repubblicano di salvezza nazionale non si limitano all’abisso ideale che divide la sinistra dalla destra bensì al calcolo delle probabilità di vittoria. La destra, contrariamente a quanto è stato scritto tante volte da tanti osservatori distratti, non è divisa al proprio interno.
I suoi leader possono litigare e tenersi il muso per un po’ ma alla fine trovano sempre l’intesa perché hanno un obiettivo condiviso: “sconfiggere i comunisti”, come proclamò già nel 1994 Berlusconi al momento della sua discesa in campo. Un obiettivo che rappresenta fedelmente quanto chiedono i loro elettori. Che non sono particolarmente schizzinosi nel preferire l’uno o l’altro partito.
Al cospetto di questa falange compatta, per vincere nei collegi uninominali – dove viene eletto chi arriva primo – è indispensabile contrapporre alla destra un candidato comune del fronte repubblicano. Qualunque altra presenza di una formazione di centro o di sinistra azzoppa il tentativo di sopravanzare il rappresentante avversario.
Le chance di vittoria del fronte repubblicano risiedono quindi nella capacità di superare rivalità e dissidi, distinguo e personalismi. Il numero delle piccole sigle e le ambizioni personali che attraversano il campo democratico indeboliscono le possibilità che si realizzi questa alleanza. Tale ipotesi diventa ancora più velleitaria se, horribile dictu, i Cinque stelle vengono esclusi.
Le ragioni per non volere aver nulla a che fare con questo partito dopo il loro comportamento solipsista e suicida sono perfettamente comprensibili, e non è detto che loro stessi si dichiarino disponibili; ma se vengono respinti a priori, non c’è speranza di vittoria, numeri alla mano. Si può solo sperare in una riduzione del danno.
E allora va tenuta in conto una strada diversa, quella per cui il Pd va alla disfida praticamente da solo con l’obiettivo di diventare il primo partito italiano e guidare l’opposizione nella prossima legislatura - nella speranza di arrivare a nuove lezioni libere e corrette, visto il sostegno di Meloni e Salvini a Donald Trump, fino a ora prima dell’assalto a Capitol Hill.
Il Pd ha di fonte a sé queste due strade. Ne scelga una. Soprattutto, eviti di impastoiarsi con richieste e ricatti da parte di quelle piccole formazioni che hanno il solo scopo di piazzare qualche candidato in collegi sicuri a danno degli esponenti democrat. Meglio che il partito affronti le elezioni valorizzando le proprie risorse.
© Riproduzione riservata