Per bloccare il progetto delle destre e per competere con il potenziale alleato M5S, non serve moderazione, ma tornare a parlare con quelle fasce di popolazione abbandonate per anni
«L'elettorato non è moderato, è smodato!», lo urla nella fiction “1992” Stefano Accorsi nella parte di Leonardo Notte, il pubblicitario di fantasia che aiuta Silvio Berlusconi nella fondazione di Forza Italia. La battuta mi è tornata in mente ieri assistendo alla Nuvola dell'Eur all'intervento felice di Elly Schlein al congresso del Pse, una leader che in inglese strappa la scena ai big della sinistra europea è uno spettacolo quasi unico nella politica italiana. E perché in questi giorni si ricomincia a parlare di un'Italia con un'anima moderata, o addirittura moderata-conservatrice, da ultimo l'ha fatto Stefano Folli (Repubblica, 1° marzo). La conseguenza è l'impossibilità per la sinistra di rappresentare questa Italia moderata e dunque di vincere, se non diventando moderata o, auspicabilmente, smettendo di essere sinistra.
Una strada che la sinistra insegue da quasi trent'anni, con poche eccezioni, ad esempio quella dell'Ulivo nel 1996. Mentre l'elettorato va in direzione opposta. Trent'anni fa, di questi tempi, l'elettorato moderato si rivelò smodato.
L'alleanza tra il Partito popolare di Mino Martinazzoli e il Patto Segni conquistò il 15 per cento, ma non bastò a arginare la marea montante della coalizione di destra con Lega e Msi (non ancora An) messa in piedi da Berlusconi in pochi giorni. Questo elettorato si era rifugiato per mezzo secolo nel voto democristiano, anti-comunista per istinto e per interesse, ma turandosi il naso, senza fare troppo affidamento su quella classe dirigente democristiana che ne prendeva i voti ma lo teneva a bada, al fondo temendolo o addirittura disprezzandolo. Luigi Sturzo distingueva tra moderatismo e moderazione. «Il primo sta all’altra come l’impotenza sta alla castità», ironizzava Martinazzoli.
Un'ostilità che accomunava tutti i leader democristiani, anche i più anti-comunisti, e che portava a fraintendimenti clamorosi, come quello che riguardò Carlo Donat-Cattin nel suo discorso al congresso dc del 1976, quando si inerpicò in un tortuoso ragionamento («Non esiste, se non in una certa propaganda, un incasellamento che ci condannerebbe a un ruolo conservatore se non ci alleassimo con il Pci»). Voleva dire che la Dc non sarebbe mai stata un partito conservatore, ma a furia di negazioni i delegati in platea capirono l'opposto e si avventarono contro l'oratore.
L'equivoco si è sciolto trent'anni fa, quando Berlusconi vinse con i suoi alleati sulla base di un messaggio radicale: il nulla della politica, il lasciar fare, slegare gli animal spirits della società italiana da regole, istituzioni, senso del limite. In trent'anni questo elettorato smodato, senza più freni inibitori, ha smesso di turarsi il naso e ha scelto prima Berlusconi, poi Grillo, quindi Salvini, infine Giorgia Meloni, scivolando sempre più a destra.
Nel 2014 ha votato anche per Renzi nel Pd, ma per il potenziale distruttivo del suo progetto di rottamazione, non per la moderazione del suo governo. Anche Giuseppe Conte è l'ennesima metamorfosi del moderato che si ritrova smodato. Quello che sorprende è che in questi trent'anni anche gli osservatori più acuti hanno preferito fare gli esami di moderatismo dala sinistra mentre le destre scardivano regole e principi di convivenza e la mutazione dell’elettorato sta travolgendo gli equilibri democratici occidentali, come dimostra la cavalcata di Donald Trump nel corpo vivo dei repubblicani Usa.
Meloni vorrebbe imporre lo stesso percorso all'Europa: abbattere la divisione tra centristi e destre, portare i conservatori nella maggioranza che governa l'Europa, e poi svuotare il Ppe, i moderati europei, in un abbraccio con le destre che sarebbe letale, un suicidio: se il centro vince con la destra, è la destra che vince.
Il Pd, per oltre dieci anni (2011-2022), è stato (quasi) sempre al governo senza avere i voti, lasciando le praterie alle sirene populiste. Sono «le mancanze, i limiti, gli errori», di cui ha parlato ieri Schlein, riferendosi all'Europa ma anche all'Italia. Per bloccare il progetto delle destre e per competere con il potenziale alleato M5S, non serve moderazione, ma tornare a parlare con quelle fasce di popolazione abbandonate per anni, le stesse che hanno una enorme necessità di rappresentanza politica. Per farlo non servono l'annacquamento delle identità, il pallore, il notabilato che galleggia sugli umani, ma il profilo combattivo che è stato disegnato anche ieri al congresso del Partito socialista europeo dalla segretaria del Pd. Il volto di un cambiamento radicale e possibile, come è ogni vero riformismo.
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