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Cosa hanno in comune le analisi economico-finanziarie e la regolazione delle concessioni? C’entrano moltissimo, hanno addirittura la stessa matrice logica: entrambe devono difendere i cittadini da due vistosi “fallimenti dello stato”.
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Le due sfere di azione hanno anche un padre intellettuale in comune che ha tentato una importante sintesi: è James Buchanan dell’Università di Madison in Virginia.
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Ma accanto a questi fenomeni relativamente noti e ben visibili, ce ne sono altri più sottili: la ricerca del consenso politico, anche in soggetti perfettamente onesti. Il concetto è definito in inglese come hidden agenda.
Cosa hanno in comune le analisi economico-finanziarie e la regolazione delle concessioni? C’entrano moltissimo, hanno addirittura la stessa matrice logica, che si può definire così: entrambe le tecniche sono chiamate a difendere i consumatori e/o i contribuenti (a seconda di chi paga) dall’aggravio di costi che possono subire o da imprenditori avidi e incontrollati o da pubblici ufficiali che sprecano gaiamente i soldi pubblici, per ragioni di consenso o meno nobili ancora.
Cioè devono difendere i cittadini da due vistosi “fallimenti dello stato”. Il gestore richiederà tariffe troppo alte, o non curerà la qualità dei servizi (il risultato è uguale: profitti indebiti). Il pubblico ufficiale chiamato a realizzare investimenti (a parte eventuali episodi di corruzione) progetterà opere troppo costose. Notoriamente il potere e la carriera dei funzionari, anche onestissimi, dipende strettamente da quante risorse gestiscono: c’è una vasta letteratura al riguardo, ed è logico che sia così. A più risorse corrisponde più peso politico e burocratico, la gestione di più fornitori e di più subalterni ecc... L’inglese ha un termine molto sintetico ed efficace: “clout” traducibile forse con “influenza”, ma è meno efficace.
Le due sfere di azione (analisi economica dei progetti e regolazione delle gestioni, cioè generalmente delle concessioni) hanno anche un padre intellettuale in comune che ha tentato una importante sintesi: è James Buchanan dell’Università di Madison in Virginia. I concetti fondativi della teoria (nota come “public choice”) che gli è valsa il premio Nobel sono infatti simili tra loro: sono la semplice presa d’atto della sistematica fallibilità dello stato (meglio, dei suoi rappresentanti). Fallibilità concettualmente del tutto simmetrica a quella del mercato, e basata sull’osservazione che in entrambi i campi tendono nel tempo a svilupparsi obiettivi e comportamenti egoistici. Certo che nel settore pubblico ci dovrebbero essere maggiori “paletti e barriere” di natura etica, e spesso ci sono. Ma è illusorio contarci in modo assiomatico. Gli uomini (e le donne) sono fallibili.
L’agenda nascosta
Il principale dei concetti analitici sviluppati da Buchanan (e dal suo collega texano Tullock) è noto come “cattura del decisore” da parte di interessi costituiti pubblici (non dimentichiamo i voti!), o privati, e a questo fine concorrono sia opere inutili che rendite monopolistiche. Cioè, rimanendo nella nostra casistica, analisi costi-benefici troppo generose e ottimistiche (o addirittura truccate, come spesso si è visto in Italia), e regolazioni tariffarie altrettanto generose.
Non è poi che la “cattura” arrivi di colpo, per esempio sotto forma di corruzione diretta e illegale: si tratta di processi dinamici nel tempo che in un’ottica molto, molto benevola potremmo anche chiamare “costituzione di solide amicizie” tra regolatori e regolati. Da qui le raccomandazioni inascoltate dell’Antitrust di evitare periodi concessori troppo lunghi.
Ma accanto a questi fenomeni relativamente noti e ben visibili, ce ne sono altri più sottili: la ricerca del consenso politico, anche in soggetti perfettamente onesti. Il concetto è definito in inglese come hidden agenda: la volontà di essere rieletti non è in sé un crimine, anche se può costare molte risorse pubbliche. Ma certo, per esempio, non è possibile dichiarare esplicitamente di voler realizzare un’opera di dubbia utilità per essere rieletti. Da qui “l’agenda nascosta” di cui si è detto. La ricerca del consenso è anche, volendo, una componente della democrazia ma in termini economici può far danni non minori dei precedenti.
L’unica soluzione
Ma che fare in pratica, constatate queste che sono forse poco più di ovvietà? Adesso normativamente le agenzie che dovrebbero tutelare i contribuenti o gli utenti dai due tipi di abusi che abbiamo menzionati sono del tutto separate.
Autorità di regolazione indipendenti per i principali mercati, non dialogano nemmeno con gli organi tecnici di valutazione interni ai ministeri per le decisioni infrastrutturali, che sono in genere totalmente dipendenti dai politici di riferimento (al contrario formalmente dai regolatori).
Quindi tendono a svilupparsi fenomeni di “cattura” vistosissimi, di cui i faraonici progetti infrastrutturali per il sud, destinati molto probabilmente a rimanere semideserti possono essere ottimi esempi, purtroppo incentivati da fiumi di risorse europee (fiumi tra l’altro forse un po’ meno scorrevoli di quanto si voglia far credere).
Forse occorre che una riforma liberale gradatamente unifichi e generalizzi le agenzie indipendenti di regolazione a difesa dei contribuenti/utenti, con gli organismi tecnici di progettazione delle opere. Quanto costerà questa autostrada? Quanto traffico avrà? Quanto saranno chiamati a pagare gli utenti e quanto lo stato? Come si vede, i temi risultano strettamente correlati e intrecciati.
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