Si sta discutendo molto di difesa e riarmo, nulla di multilateralismo e diplomazia. Non saranno tempi di alleanze permanenti, ma il Vecchio continente deve ripensare le proprie relazioni, decidendo quali siano i nostri partner in Africa, America Latina e Asia. Dobbiamo favorire la loro partecipazione alla costruzione del nuovo ordine mondiale e costruire una cooperazione tra pari su investimenti, innovazioni tecnologiche, politiche pubbliche inclusive
L’Europa passa di sorpresa in sorpresa: la Russia ci è caduta sulla testa, un incubo ci ha risvegliato il 7 ottobre e non ci ha lasciati più, il Sud Globale è apparso come un attore politico inatteso, il “grande alleato americano” si è trasformato in un avversario. L’Europa ha moltiplicato le incomprensioni e le negazioni. I nostri occhiali per leggere il mondo sembrano non funzionare più e serve cambiare interpretazioni e soprattutto azioni per non cadere in una cecità definitiva.
Intanto, la premier italiana non può più giocare su due tavoli: da un lato come vassallo degli Usa, accomodandosi a un atlantismo deteriorato, e dall’altro come rappresentante di uno dei paesi fondatori di un’Unione che non può più permettersi di ritardare la costruzione di un’autonomia strategica. Le ragioni sono evidenti: la politica di Vladimir Putin e la diplomazia transattiva di Donald Trump, basata su scambi concreti e negoziazioni pragmatiche, intendono sbriciolare l’Unione europea a vantaggio di relazioni bilaterali tra paesi.
In questo quadro, la chiamata a scendere in piazza per manifestare come cittadini per l’Europa ha senz’altro senso. Ma non si tratta di difendere un’Europa qualsiasi, come già sottolineato su queste pagine dai co-coordinatori del Forum Disuguaglianze e Diversità, quanto piuttosto di mobilitarci per l’Europa che vorremmo: un’Europa che dismetta le lenti conservatrici e autoritarie attuali, che cambi rotta e avanzi verso la giustizia sociale e ambientale, che promuova la partecipazione democratica e che contribuisca a relazioni internazionali paritarie e cooperative.
Questa Europa che vorremmo, di cui il Forum Disuguaglianze e Diversità ha delineato i contorni nel libro Quale Europa, deve riformare le proprie istituzioni (superare il vincolo dell’unanimità, rafforzare il parlamento, ecc), deve trasformare le proprie politiche interne con una visione forte e di coesione. E deve anche modificare la sua politica estera: si sta discutendo molto di difesa e riarmo, e nulla invece di cooperazione, di multilateralismo e di diplomazia.
Forse questi non sono tempi di alleanze permanenti, ma di certo l’Europa deve ripensare le proprie relazioni. È tempo di decidere quali siano i nostri partner in Africa, America Latina e Asia, e come cooperare. Per rispondere all’unilateralismo USA, nutrito di sanzioni e divergenze sugli accordi multilaterali, dobbiamo cambiare: favorire la partecipazione del Sud Globale alla costruzione del nuovo ordine mondiale e costruire una cooperazione tra pari su investimenti, innovazioni tecnologiche, politiche pubbliche inclusive.
La cooperazione “vecchia maniera”, con le sue incoerenze storiche e relazioni asimmetriche, paternalistiche ed estrattive è in declino, forse irreversibile. Elon Musk e Marco Rubio stanno smantellando USAID, anche se in un braccio di ferro con la Corte Suprema, e fanno perdere quasi 43 miliardi di dollari di aiuti allo sviluppo. I tagli drastici inglesi alla cooperazione a favore delle spese militari, hanno provocato le dimissioni di Anneliese Dodds, ministra per lo sviluppo internazionale, in disaccordo sulle priorità di spesa del partito laburista. Ma anche molti paesi europei riducono significativamente i fondi per lo sviluppo. La costruzione di un’Europa solidale e cooperativa non sembra più una priorità: l’interesse appare piuttosto spostato verso la protezione dei confini e si spende “in casa” per coprire i costi dell’accoglienza in un isolazionismo sempre più pericoloso.
Anche il multilateralismo, che seppur da riformare ha un ruolo indispensabile per affrontare le sfide globali, oggi è sotto attacco e si sta trasformando in un’arena di rivalità piuttosto che di cooperazione. I paesi del Sud Globale lamentano la disuguaglianza nella governance globale e in risposta la tendenza al bilateralismo opportunistico riduce ulteriormente gli spazi di collaborazione e dialogo. Senza riforme in favore di inclusività ed efficacia, il multilateralismo rischia di essere sostituito da approcci transattivi che aumenterebbero i pericoli di una governance globale sempre più sbilanciata.
Insomma, meno fondi per lo sviluppo e un multilateralismo delegittimato minacciano i beni pubblici globali (come la stabilità climatica, la salute globale, la conoscenza scientifica, ecc.) e frustrano le aspettative di emancipazione di molti paesi del Sud. Allora, la politica estera europea va ripensata, per ragioni etiche, e per una visione lungimirante che investa in un nuovo equilibrio multipolare e di sviluppo.
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