- Le sanzioni contro la Russia intendono «indebolire la capacità del Cremlino di finanziare la guerra». Ma secondo Josep Borrel «le battaglie che vedremo nell'est dell'Ucraina avverrebbero anche con l'embargo al gas e al petrolio russo».
- Servirebbe che le istituzioni spiegassero, in maniera fruibile anche a non “addetti ai lavori”, ipotesi di scenario circa gli effetti delle sanzioni sull’andamento del conflitto, chiarendo altresì se quelle già adottate stiano funzionando e se basti l’attuale approccio graduale o siano necessarie misure più estreme.
- Occorrerebbe anche chiarire come le sanzioni già adottate, nonché quelle a cui si sta pensando, graveranno su cittadini e imprese. Conoscere il costo della pace serve ad acquisire consapevolezza sul valore della pace stessa, senza paternalistiche edulcorazioni.
Da giorni si discute sulla frase del presidente del Consiglio, Mario Draghi, riguardante l’alternativa fra la pace e i condizionatori accesi. L’espressione ha inteso sottolineare - in maniera abbastanza semplicistica - che le sanzioni contro la Russia per l’aggressione all’Ucraina hanno un costo per i cittadini. Ma cosa sanno i cittadini circa gli effetti delle sanzioni sulla guerra e gli impatti che esse avranno sull’economia italiana, e di conseguenza sulle loro vite?
Le sanzioni alla Russia
La reazione da parte dei paesi dell’Unione europea (Ue), e non solo, alla guerra di aggressione della Russia nei riguardi dell’Ucraina, quindi alla violazione di principi di diritto internazionale - non uso della forza, inviolabilità delle frontiere, integrità territoriale degli stati ecc. – si è articolata su più piani. Dalle sanzioni agli aiuti umanitari alla cessione di armi.
Per quanto specificamente attiene alle sanzioni, «strumento essenziale della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell'Ue», si tratta di misure che possono essere decise autonomamente dal Consiglio dell’Unione europea (art. 215, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, Tfue) o applicate in attuazione di risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu (artt. 40-42, cap. VII, Carta Onu).
Esse sono finalizzate a tutelare i valori fondanti dell’Unione stessa - dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, rispetto dei diritti umani ecc. (art. 2, Trattato sull’Unione europea, Tue) – nonché i principi che l’Unione «si prefigge di promuovere» anche «nel resto del mondo» - stato di diritto, diritti umani, solidarietà ecc. - oltre ai «principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale» (art. 21 Tue).
L'UE ha adottato cinque pacchetti di misure restrittive. Il quinto è stato imposto l’8 aprile scorso «alla luce del protrarsi della guerra di aggressione». Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza UE, ha spiegato che tale pacchetto «è stato adottato a seguito delle atrocità commesse dalle forze armate russe a Bucha e in altre località occupate dalla Russia.
L'obiettivo delle sanzioni è porre fine alla condotta sconsiderata, disumana e feroce delle truppe russe e mostrare chiaramente ai responsabili politici del Cremlino che l'aggressione illegale comporta un costo elevato».
Gli effetti delle sanzioni
La guerra di aggressione della Russia nei confronti dell'Ucraina, oltre a essere contraria a principi di diritto internazionale, sta causando ingenti perdite di vite umane anche tra i civili. Ciò ha reso necessarie sempre maggiori ritorsioni. L’adozione di queste ultime risponde, prima ancora che al diritto, a un imperativo deontologico. Ma se lo stesso Borrel dichiara che «le battaglie che vedremo nell'est dell'Ucraina avverrebbero anche con l'embargo al gas e al petrolio russo: ciò che fa la differenza in questo momento sono gli aiuti militari» - intendendo dire, in altre parole, che non conta tanto bloccare i rifornimenti dalla Russia, quanto inviare più armi ai combattenti ucraini - serve farsi qualche domanda.
Sul sito del Consiglio UE si legge che le sanzioni «intendono indurre un cambiamento nella politica o nella condotta del soggetto cui sono dirette» e sono finalizzate a «indebolire la capacità del Cremlino di finanziare la guerra», nonché a «imporre chiari costi economici e politici nei confronti dell'élite politica russa».
A fronte di queste affermazioni, ci si chiede se non sia necessario rendere note, in maniera comprensibile anche a non “addetti ai lavori”, ipotesi di scenario circa gli effetti delle sanzioni sull’andamento del conflitto, spiegando come un loro ulteriore inasprimento possa concorrere alla sua conclusione.
Ci si chiede altresì, dopo svariate settimane dall’applicazione delle prime misure contro la Russia, quali effetti esse siano riuscite a ottenere nei riguardi dello Stato aggressore, ciò al fine di valutare se stiano funzionando e se basti l’attuale approccio graduale oppure occorra arrivare a misure più estreme.
Ma la trasparenza è necessaria anche per un motivo diverso: far conoscere ai cittadini del Paese che impone le sanzioni i costi che queste ultime comporteranno per loro.
Il governo ha effettuato delle stime nel Documento di economia e finanza (Def), e anche la Banca d’Italia ha delineato alcuni scenari nel suo ultimo bollettino economico, con riguardo all'impatto dell’eventuale blocco all'import di gas russo.
Servirebbe che le istituzioni spiegassero a beneficio di tutti, per quanto possibile, come le sanzioni già adottate, nonché quelle a cui si sta pensando, graveranno su cittadini e imprese in termini di mancanza di materie prime, rincari, calo della produzione, perdite di posti di lavoro. Anche perché bisognerà capire se e quanto ciò inciderà sulla tenuta, non solo economica, del Paese.
Provare a far comprendere quale sia il costo delle ritorsioni contro la Russia per la nostra economia non significa essere surrettiziamente contro le ritorsioni stesse o porsi un problema inutile perché la pace “non ha prezzo”. Al contrario, chiarire tale costo è anche un modo per capire l’entità dei principi per i quali si devono fare dei sacrifici.
La scarsa cultura della trasparenza
In Italia c’è scarsa cultura della trasparenza. Lo si è visto in pandemia, quando la si pretendeva per valutare l’adeguatezza e la proporzionalità delle misure adottate dal Governo. All’epoca, l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, pur di non assolvere alla richiesta di pubblicazione dei verbali del Comitato tecnico scientifico, arrivò ad accampare la necessità di evitare il «pregiudizio altamente probabile» che sarebbe derivato «all’ordine pubblico e la sicurezza» dalla «disclosure delle informazioni richieste».
Porre la questione della guerra in termini di alternativa fra condizionatori e pace, se può far capire con immediatezza ai cittadini che serviranno sacrifici individuali, tuttavia – come detto - non fa alcuna chiarezza, da un lato, sul rapporto tra escalation delle sanzioni e andamento della guerra; dall’altro lato, sulle conseguenze per i cittadini delle sanzioni stesse. Se la partecipazione alla guerra - che gli ucraini combattono in prima persona - riguarda noi tutti, in vista della difesa dei valori comuni, allora è necessario che tutti siano informati sugli effetti delle azioni attuate e da attuare.
“Conoscere per deliberare” vale sempre, anche in guerra, e con riguardo ai costi della pace serve ad acquisire consapevolezza sul valore della pace stessa, senza paternalistiche edulcorazioni. Altro che condizionatori.
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