La revisione dell’Istat delle modalità di registrazione nei conti pubblici dei crediti di imposta legati al super-bonus 110 per cento e al bonus facciate ha indotto reazioni indicative dell’approccio che domina la nostra politica di bilancio, per cui modifiche puramente contabili e prive di contenuto reale producono rilevanti effetti sulle scelte politiche.

Finora un credito di imposta di 100 euro relativo a una serie di detrazioni annuali veniva registrato come minore entrata (minor gettito Irpef) nell’anno di maturazione della detrazione.

Per il super-bonus, che si recupera in cinque anni (per gli interventi realizzati nel 2020 e 2021) o in quattro anni (dal 2022), venivano quindi registrate minori entrate pari a 20 o 25 euro l’anno per i successivi cinque o quattro anni.

Per il bonus facciate che si recupera in dieci anni, si registravano, invece, minori entrate per 10 euro l’anno per i successivi dieci anni.

Dopo la revisione, un credito di imposta di 100 euro (ceduto a terzi) si registra per intero immediatamente nell’anno in cui vengono effettuati i lavori.

I nuovi criteri

Perché sono stati rivisti i criteri di registrazione? Il criterio precedente era basato sull’ipotesi che aver acquisito il diritto a una detrazione dall’Irpef per quattro anni non implica necessariamente che questo diritto si realizzerà.

Perché ciò accada occorre che in ciascun anno si abbia un debito di imposta contro il quale far valere la detrazione. In caso contrario il diritto svanisce.

Non vi è, quindi, certezza che tutte le detrazioni si traducano effettivamente in minori entrate future per lo Stato.

Da cui il criterio di registrare anno per anno, solo quando l’esborso da parte dello Stato avviene effettivamente.

Il quadro cambia radicalmente se è consentito cedere il credito di imposta a qualcuno, diciamo una banca, che certamente lo potrà utilizzare.

L’incertezza sull’utilizzo futuro del credito viene meno ed esso viene quindi registrato interamente subito come maggiore spesa.

Tutto ciò vale per il bilancio annuale, per quanto riguarda lo stock di debito pubblico la revisione non cambia nulla: per il debito si segue sempre un criterio di cassa e quindi la registrazione ha luogo quando c’è l’esborso effettivo.

In concreto, la revisione comporta maggiori spese, con aumento del disavanzo, nell’anno in cui sono stato realizzati i lavori e maggiori entrate, con diminuzione del disavanzo, negli anni successivi (quelli in cui maturano le detrazioni).

L’impatto sui conti 

Così il disavanzo per il triennio 2020-2022 è stato aumentato nel complesso di 4,4 punti di Pil. A fronte di ciò, nei prossimi anni si avrà un disavanzo minore rispetto alle stime precedenti che, approssimativamente, si può valutare in circa 15 miliardi, ovvero uno 0,7-0,8 per cento di Pil, l’anno.

Ma tutto ciò è solo rappresentazione contabile: la realtà, l’impatto dei bonus edilizi sull’economia e sullo squilibrio dei conti pubblici, non è cambiata. Eppure la revisione ha indotto reazioni politiche forti.

La più importante è stata la decisione del governo, un paio di settimane fa, di abolire la possibilità di cedere i crediti di imposta. Una misura quanto mai opportuna per sgonfiare una bolla ormai insostenibile.

Ma quella stessa decisione poteva (e doveva) essere presa mesi prima, quando il quadro delle informazioni sulle variabili reali (e non su quelle contabili) era già chiaro. Il detonatore è stato, invece, la notizia della revisione contabile in arrivo.

Con il nuovo criterio la cessione dei crediti relativi ai lavori effettuati nel 2023 non si sarebbe più spalmata sui bilanci degli anni successivi ma si sarebbe scaricata tutta su quest’anno, esaurendo qualsiasi margine di manovra di bilancio. 

Va detto che probabilmente quale fosse stato il colore politico del governo l’approccio sarebbe stato lo stesso.

Per la politica di bilancio italiana, forse da sempre, conta solo quello che accade quest’anno e, al massimo, il prossimo. Per il futuro si troverà rimedio a suo tempo (ricordate la clausola Iva?). 

Così non si è intervenuti sulla misura ancora eccessivamente generosa del super-bonus (90 per cento), i cui effetti si vedranno a bilancio nei prossimi quattro anni, ma solo sulla cedibilità dei crediti.


Oltre il proprio naso

Se questo è il contesto, vi è da temere che il nuovo spazio di bilancio creato per il 2023 dalla revisione dell’Istat possa essere rapidamente usato per qualche iniziativa estemporanea. 

La miopia è ciò che, in passato e ancora oggi, ci fa tendere verso politiche di bilancio irresponsabili che alla fine danneggiano tutti.

Qui non è questione di approccio keynesiano o ordo-liberista ma semplicemente della capacità di guardare al di là del proprio naso. 

In questi mesi si discute della revisione del fiscal compact. Nel nuovo regime prospettato dalla Commissione europea si sarebbe costretti a considerare un orizzonte di almeno quattro anni concordando un programma di bilancio pluriennale vincolante. Un vincolo esterno questo, a differenza di altri, di cui avremmo davvero bisogno.

Altre reazioni politiche interessanti si sono manifestate ieri dopo la pubblicazione della revisione Istat.

La più singolare prende spunto da un'altra novità, la revisione al rialzo della stima della crescita del Pil nel 2021 dal precedente 6,7 per cento al 7 per cento (revisione ricorrente e del tutto indipendente da quella che ha riguardato i conti pubblici) e la attribuisce all’effetto del super-bonus.

Peccato che nell’ambito della stessa revisione il contributo del settore delle costruzioni alla crescita 2021 scenda di 0,9 punti percentuali.  Ma su questo ci sarà occasione di tornare.   

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