- Il fondo di private equity Kkr preannuncia un'offerta pubblica d'acquisto (Opa) sul 100 per cento di Tim, operatore Tlc dominante in Italia.
- Mancando dettagli sulla quasi Opa, si deve strologare sull'obiettivo di Kkr: pare sia la separazione fra rete Tlc e altri rami. Kkr dovrà ascoltare le richieste del governo, forte del golden power e della quota Cdp. Questa ha anche il 60 per cento di Open Fiber (Of), che sta posando una nuova rete in fibra; l'altro 40 per cento è di Macquarie, fondo australiano.
- Anziché tifare nel derby fra un fondo che deve vendere e il discusso Bolloré, cerchiamo di capire cosa conviene all'impresa e all'Italia.
Il fondo di private equity Kkr preannuncia un’offerta pubblica d’acquisto (Opa) sul 100 per cento di Tim, operatore di telecomunicazioni dominante in Italia. Valuta il 100 per cento 12 miliardi di dollari; con i 34 di debiti, Tim varrebbe 46 miliardi di dollari.
Per ora è solo un annuncio non vincolante, vago nei fini. Il mercato ci spera, ma l'Opa potrebbe non arrivare; tace Consob, fisso l'occhio sui fari del Fintech. Ricordo che gli Stati Uniti stangarono Elon Musk per aver annunciato l'Opa su Tesla, scusandosi poi per aver fumato una canna di troppo. Soci pesanti in Tim sono Vivendi, del finanziere Vincent Bolloré col 24 per cento, e la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) col 10 per cento.
Vivendi cerca, pare, alternative, scontenta che Tim sia valutata meno della metà di quanto pagò nel 2014.
Tim è strozzata dal debito caricatole dall'Opa del 1999 su Telecom Italia. (Nota personale: allora in Consob l'approvai perché rispettava le norme vigenti, solo punto rilevante per i regolatori). Spaventa dare la rete Tlc a un fondo tenuto a rivendere in fretta guadagnando il massimo possibile. Saranno scelte difficili per amministratori, azionisti e governo.
Mancando dettagli sulla quasi Opa, si deve strologare sull'obiettivo di Kkr: pare sia la separazione fra rete Tlc e altri rami. Kkr dovrà ascoltare le richieste del governo, forte del golden power e della quota Cdp. Questa ha anche il 60 per cento di Open Fiber (Of), che sta posando una nuova rete in fibra; l'altro 40 per cento è di Macquarie, fondo australiano. Anziché tifare nel derby fra un fondo che deve vendere e il discusso Bolloré, cerchiamo di capire cosa conviene all'impresa e all'Italia.
Tim conta non solo per le reti, inclusa quella mondiale di Sparkle, ma anche per le competenze tecniche nate sulle reti. Ciò induce a cautela sullo “spezzatino”; già in parte attuato, sempre temuto, qui pare un vero rischio.
Kkr vorrà catalizzare, profittandone, la separazione della rete dagli altri business; come ha scritto qui Alessandro Penati, è la manovra pensata da Tim e Of per la rete unica, uccisa in culla da governo e Ue. Perché dovrebbero approvarla solo se la propongono due fondi di private equity?
Nonostante i consueti omaggi labiali al mercato, esso su Tim ha più volte fallito; la Ue potrebbe anche accettare un “temporaneo” intervento statale ma il cadavere di Alitalia ci sbarra la via.
La visibilità è scarsa; il pallino ce l'ha il governo, anche per il ruolo di Tim nel Pnrr, per il 5G e l'internet delle cose. Bisognerà conciliare interesse nazionale e interesse sociale; difficile ma forse fattibile.
Per restare intera, a Tim servono margini tali da riassorbire i debiti, ma intanto le serve nuovo capitale, magari con un bond da convertire obbligatoriamente in azioni. Il mercato potrebbe anche accettarlo, se si muovesse Cdp portando nuovo management abile, stabile e credibile.
Vivendi ci starebbe per forza. Dopotutto Kkr agisce pensando che il valore di Tim possa almeno raddoppiare in 5 anni; non ha ancora il monopolio del buon management aziendale, possono ben farlo anche altri.
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