- Tim e Open Fiber hanno siglato una lettera di intenti per costituire entro l’autunno una società unica per la rete in fibra di internet, nella quale far confluire le rispettive attività. L’annuncio era atteso; così la Borsa è rimasta indifferente.
- La società unica della rete sarà davvero unica: non mi risultano infatti altri paesi occidentali che ne abbiano una, e a controllo pubblico. Prevale invece la concorrenza, magari con un operatore dominante che fornisce a terzi l’accesso alla propria rete.
- E gli interessi del consumatore? In Italia, che ha dato i natali a Machiavelli, teorico del primato della Ragion di Stato, possono attendere.
Tim e Open Fiber hanno siglato una lettera di intenti per costituire entro l’autunno una società unica per la rete in fibra di internet, nella quale far confluire le rispettive attività. L’annuncio era atteso; così la Borsa è rimasta indifferente.
Ho già sottolineato su queste colonne che per Tim la scissione della rete (dorsale e ultimo miglio già conferiti in FiberCop) è una strada obbligata per deconsolidare l’enorme debito e riallocare dipendenti per tagliare i costi. Strada obbligata anche per OpenFiber, nata più per volontà della politica che sulla base di un piano finanziario, che da sola difficilmente riuscirebbe a raggiungere una redditività adeguata.
La nuova società della rete avrebbe poi il vantaggio di essere l’ovvio destinatario di una parte notevole delle risorse del Pnrr per la digitalizzazione; e viene vista con favore da tutte le società telefoniche e nel settore dei media che non dovranno più farsi concorrenza nella vendita dell’accesso alla rete e potranno operare tutti con la stessa struttura di costi. In più, la rete unica è sempre stata caldeggiata dalla classe politica italiana: nessun governo che ricordi l’ha apertamente osteggiata.
Tutti gli interessi in gioco
Per realizzare la società della rete, ovvero determinare i valori di conferimento e definirne struttura proprietaria e piano strategico, bisognerà coniugare gli interessi delle molteplici parti in causa. Quelli di Tim, che deve essere messa in grado di disfarsi di debiti e costi; quelli del suo azionista di maggioranza relativa Vivendi, che attraverso la scissione vuole incrementare il valore della sua partecipazione, oggi in forte perdita, per portarlo almeno ai 50 centesimi per azione dell’offerta di Kkr per l’intera Tim a suo tempo rispedita al mittente; quelli di Kkr e Macquire, rispettivamente soci di minoranza in FiberCop (con Tim) e Open Fiber (con Cassa Depositi e Prestiti), che vorranno garanzie sul ritorno dei propri investimenti, visti i generosi multipli pagati per entrare in queste società; dei sindacati, che chiederanno garanzie per i posti di lavoro; di Cassa Depositi e Prestiti, che vorrà il controllo della nuova società senza esborsi finanziari, e uscire da TIM dopo la scissione; e infine del mercato, perchè è immaginabile una futura quotazione per ridurre l’impegno finanziario dei soci originali, e cominciare a passare all’incasso.
Chi paga
L’unico modo per conciliare tutti questi interessi è che il piano strategico della nuova società preveda un elevato risultato operativo e una forte crescita dei cash flow. Ovvero che siano i consumatori i principali finanziatori della nuova società della rete. Ingenuo immaginare che il regolatore, da cui dipenderanno le tariffe, non avrà un occhio di riguardo per questa società che tutti considerano “strategica per il Paese”: e non sarebbe la prima volta che la Ragion di Stato prevale sull’intessi dei consumatori.
Va bene l’autonomia delle Autorità di Regolamentazione sancita dalle norme, ma la politica che nomina i vertici della società partecipate dallo Stato è la stessa (tramite Governo e Parlamento) che nomina anche quelli delle Autorità. Una volta si chiamava realpolitik.
La società unica della rete sarà davvero unica: non mi risultano infatti altri paesi occidentali che ne abbiano una, e a controllo pubblico. Prevale invece la concorrenza, magari con un operatore dominante che fornisce a terzi l’accesso alla propria rete. Ma in Italia, nel settore dei servizi di pubblica utilità, è la norma e, nello specifico, un progetto che risale ai tempi della Stet.
È il nostro sistema misto pubblico/privato usato per Snam, Italgas, Terna (tramite CDP Reti), Autostrade e presto anche per la Società della rete in fibra, in cui lo Stato controlla le aziende col minimo delle risorse (con circa il 19 per cento nelle tre società di CDP Reti), esattamente come facevano una volta i nostri capitalisti senza capitale, grazie alle piramidi societarie; e sempre assieme a investitori esteri molto interessati ai lauti dividendi che partecipazione pubblica e regolamentazione garantiscono in questi casi. Una prova del virtuosistico equilibrismo italiano: in Cdp Reti lo Stato ha il governo cinese come partner, mentre sono gli americani e australiani di KKR, Macquire e Blackstone quelli in Autostrade e nella Società della rete, nonostante i rapporti tra questi paesi non siano proprio amichevoli.
E gli interessi del consumatore? In Italia, che ha dato i natali a Machiavelli, teorico del primato della Ragion di Stato, possono attendere.
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