Tregua di Natale. L’aveva proposta papa Francesco e ora la chiede il patriarca Kirill di Mosca. Il leader russo accetta quella per il Natale ortodosso, sorprendendo gli ucraini che pensavano il caso chiuso.

Una mossa “cinica e opportunista” come si dice a Kiev? Un modo per riorganizzarsi come sostengono altri? L’inizio della fine della guerra? Un nulla di fatto visto che è già violata? La tradizione delle tregue durante le feste religiose cristiane è molto antica e profondamente ancorata nell’animus del popolo.

La famosa tregua di Natale spontanea del 1914 (parzialmente ripetuta nel 1915) nacque da questo: quasi impulsivamente gli eserciti che si affrontavano nelle trincee pensarono che a Natale non si combatte. Liberi nella loro coscienza, quegli uomini sapevano che, malgrado tutto l’odio e il desiderio di vendetta, a Natale non si uccide.

Un istinto umano

Non si tratta di un istinto confessionale ma umano, valido anche in tempi secolarizzati come i nostri. Esiste un irriducibile umano che non viene piegato da nessuna legge funzionale o principio legale.

La tregua di Natale esprime una realtà essenziale: l’odio assoluto non esiste; le ragioni degli uomini sono relative (legate ad una politica, ad un contesto) e non rappresentano mai l’ultima parola. La guerra non è uno stato naturale, anzi: la tregua di Natale la definisce come relativa e mai “totale”.

Per ciò stesso la tregua relativizza l’odio, lo frena, lo limita. In altre parole: la tregua esprime che c’è qualcosa di più grande della guerra, dell’odio e delle ragioni di chi combatte. Esiste un “oltre” profondamente umano, irriducibilmente umano che interrompe “l’odio indifferenziato”: “la cosa peggiore che ci sia: una malattia dell’anima”, come scriveva Etty Hillesum.

L’occasione

La tregua di Natale ci dice che si tratta di un impulso a “non lasciar morire l’umano nell’uomo” come sosteneva Vasilij Grossman (ebreo e ucraino) davanti agli orrori nazisti della seconda guerra mondiale. Scandalizzarsi dell’idea di una tregua di Natale non ha motivo di essere: anche se politicamente orientata, tale proposta corrisponde a qualcosa di più, che va al di là delle intenzioni perché risuona nel cuore degli uomini e delle donne.

Una tregua di 36 ore non può diventare una ”trappola”: non si riesce a fare quasi niente in quelle poche ore che non si possa fare altrimenti. Accettarla può diventare un’arma simbolica e ciò spiega l’irritazione di chi è vittima di un’aggressione senza motivo. Ma questo ci riporta all’essenza del problema: è la guerra il vero nemico, il mostro che tutto stravolge, anche le ragioni di chi si difende.

La guerra appiattisce tutto, rende tutto orrendo allo stesso modo, schiaccia l’essere umano sotto le sue leggi di ferro e fuoco. Quando tutto è distrutto, cosa resta dell’umano? Chi ne sarà soddisfatto, se non la guerra stessa che può diventare permanente? Dentro il suo frastuono alla fine non ci saranno né vincitori né vinti. Meglio la pace subito, il cui silenzio permette di ascoltare le voci delle vittime. 

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