- È stato un successo delle Nazioni unite la riconduzione della tregua per altri due mesi. Le parti sono ancora lontane ma l’interruzione dei combattimento è una boccata d’ossigeno per i civili.
- La tregua è iniziata il 2 aprile e doveva scadere il 2 giugno ma è stata prorogata per altri due mesi, fino ad inizio agosto. Sono ormai oltre 7 anni di guerra che è giunta ad uno stallo militare sul terreno.
- Intanto l’Onu continua a negoziare per un cessate il fuoco permanente. Si cerca di togliere il blocco a Taiz, la terza città del paese.
Terzo mese di tregua nello Yemen ma se ne parla poco, forse perché in una pausa del terribile conflitto che dura dal 2015 nessuno ci credeva davvero. La tregua è iniziata il 2 aprile e doveva scadere il 2 giugno ma è stata prorogata per altri due mesi, fino ad inizio agosto. Entro quella scadenza dovrebbero iniziare dei veri negoziati che portino ad un cessate il fuoco permanente tra le parti per poi procedere verso un’ipotesi di stabile risoluzione del conflitto. Sono ormai oltre 7 anni di guerra che è giunta ad uno stallo militare sul terreno.
L’intervento dell’Onu
L’interruzione dei combattimenti è un successo delle Nazioni unite che hanno avviato numerose tornate di colloqui, facendo pressioni sui contendenti anche considerando che la situazione umanitaria è da tempo giunta al limite del collasso.
L'inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Hans Grundberg, spera che una risoluzione sia possibile pur in un quadro molto difficile: l’ostilità tra gli Huthi, sostenuti, dall’Iran, e il governo yemenita (l’unico riconosciuto ufficialmente) appoggiato dall’Arabia Saudita rimane molto acuta. I colloqui proseguono ad Amman, in Giordania, e si discute ora la graduale riapertura delle strade verso Taiz, la terza città dello Yemen, ed altre province rimaste isolate, insieme ad un meccanismo di garanzie per il transito sicuro degli aiuti umanitari e dei civili.
Il governo yemenita, che rappresenta una coalizione più coesa rispetto al passato, ha approvato la bozza proposta dall’Onu; si attende ora la reazione degli Huthi. La novità politica yemenita, che ha permesso l’avvio di questa tornata di negoziati, è la rinascita del partito del Congresso generale del popolo, lo stesso che nel 2014 aveva rotto con le altre forze politiche nazionali e sostenuto l’arrivo degli Huthi al potere.
Successivamente espulsa da Sanaa (la capitale del nord in mano ai ribelli) la formazione si era liquefatta ma ora è tornata alla testa del Presidential Leadership Council sostenuto dai sauditi, mediante la presenza di Rashad Al-Alimi, ex ministro dell’Interno.
Le prospettive
Molti osservatori del conflitto sostengono che l'attuazione delle condizioni della tregua sarà un processo lungo senza alcun successo garantito perché gli Huthi hanno spesso dimostrato una certa volubilità nelle loro decisioni. C’è anche chi sostiene che, dopo la lunga fase dei bombardamenti sauditi sulle città, l’attuale interruzione li favorisca: il commercio di petrolio dal porto di Hodeida in mano loro ha ripreso generando proventi.
Da parte loro gli Huthi temono che questa tregua possa essere uno stratagemma e la loro leadership continua a credere nell'opzione militare per mantenere il potere. Esiste una diversa percezione sulle ragioni del conflitto che si trasmette nella narrazione che ne fanno le due parti.
Dal lato Huthi questa guerra è dovuta alla reazione saudita che ha cercato di spegnere la “rivoluzione” sociale che gli Huthi invece hanno sostenuto con l’obiettivo di allargare la base del governo a tutte le componenti de paese. Per Aden (la capitale del sud) e la vecchia classe politica yemenita quello degli Huthi è stato invece un puro e semplice colpo di Stato. Il fronte militare più delicato rimane quello di Taiz, proprio la città che dovrebbe in maggior misura giovarsi dello sblocco umanitario in corso.
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