La destra italiana ha, da tempo, aperto la campagna elettorale per le europee dettando al paese la propria agenda. Al primo posto, rilievo strategico viene dato al tema della riforma costituzionale che, sebbene si dichiari “aperta ai contributi”, ha il tono inemendabile del presidenzialismo e – comunque – alternativo allo stato degli equilibri voluto dai padri costituenti e fortemente mantenuto dalle forze e dalle culture politiche che hanno dato forma al nostro modello democratico.
Non è difficile scorgere l’intendimento di utilizzare il successo elettorale per accelerare il processo di revisione costituzionale reso arduo dalle resistenze politiche e quelle tecnico-giuridiche che si vanno accumulando su quel fronte.
Il modello personalistico
Il disegno della destra, però, va oltre. Intende coprire un vuoto strutturale della nostra democrazia, così come questa si è configurata nell’occidente democratico (e in Europa in modo specifico). Un vuoto che si mostra, con una intensità sempre più allarmante, nella endemica instabilità dei governi, nella precarietà delle alleanze politiche che li sostengono e nella insufficienza dei programmi economici a cui si mette mano per fronteggiare crisi sempre più cicliche. Nell’astensione di massa dal voto che, con falsa coscienza, si vorrebbe “fisiologico”.
Un vuoto, prodotto dalla instabilità, che la destra intende ricoprire non con il ripristino e la rigenerazione delle condizioni che hanno portato la democrazia repubblicana, per quasi un cinquantennio, a godere della stabilità sistemica sul piano della collocazione internazionale dell’Italia e sul piano dell’equilibrio sociale, dentro il quadro dello stato sociale garantito costituzionalmente; ma un vuoto da ricoprire con un materiale estraneo alla storia e alla prassi del modello democratico, con un modello conservatore personalistico.
Si tratta del vecchio modello della destra italiana, ristrutturato alla bisogna in una situazione di estrema debolezza delle forze politiche e della sinistra, un modello in continuità con una linea che ha consapevolmente ritradotto e adeguato il linguaggio autoritario del fascismo dentro la grammatica antipartitocratica del post-fascismo.
La traversata della destra
È stata una lunga attraversata, quella della destra missina, iniziata con paziente passività e proseguita con improvvise incursioni eversive sotto la copertura dell’occhiuta vigilanza dell’atlantismo più oltranzista, ma sempre con un obiettivo fisso: minare le basi democratiche, la fondazione ciellenistica della Repubblica, la natura di massa dei partiti antifascisti che hanno impresso la cifra unitaria e sociale alla nostra Costituzione.
I primi cinquant’anni di vita repubblicana, dal 1945 al 1994, sono stati anni di frequenti turbolenze ma anche della generale stabilità democratica dell’Italia. Oggi questa verità storica oltre che politica va ribadita: il compromesso tra le grandi tradizioni dei partiti di massa, socialista, cattolica e comunista, che ha garantito il legame atlantico dell’Italia assieme con la fedeltà costituzionale, ha legittimato e fatto funzionare il circuito della “democrazia sociale”, che è lo specifico democratico del paese, vale a dire il circuito tra la società e le istituzioni attraverso la vitalità dei partiti, dei movimenti e delle associazioni nel loro rapporto di conflitto regolato, la partecipazione della società agli appuntamenti politici ed elettorali.
A nulla vale l’argomentazione qualunquistica della breve durata dei governi della Prima repubblica, della pervasività del ceto politico democristiano, delle pregiudiziali e veti opposti a qualsiasi tentativo di incrinare il monopolio del potere: la politica era saldamente articolata nel rapporto società-partiti-istituzioni-governo e il gruppo dirigente del paese è stato l’emanazione diretta della vitalità di questo sistema e del carattere libero con cui questo gruppo dirigente e di governo ha gestito la posizione dell’Italia secondo gli interessi strategici del paese.
Democrazia costituzionale
La saldatura tra partiti di massa e progetto democratico-costituzionale della nuova Italia e la lunga tenuta di questo rapporto, condizione imprescindibile della stabilizzazione democratica, sono state il fianco contro il quale tutti i tentativi delle destre, interne ma non solo, hanno portato il loro attacco.
La tragica conclusione del sequestro Moro è stato il primo segnale della disarticolazione dell’unità democratica dei partiti costituenti, nell’incapacità di cogliere, sotto il livello dell’aggressione brigatista allo stato, l’intuizione morotea che gli veniva dalla percezione dell’avanzare di un nuovo dinamismo nelle relazioni internazionali a cui rispondere con un diverso dinamismo dei rapporti interni tra i grandi partiti di massa. Il crollo dell’Urss e il venir meno dell’assetto bipolare del mondo hanno contribuito e dato l’abbrivio a una stagione più accelerata di disarticolazione delle giunture politiche- istituzionali che tenevano unito il paese in un assetto stabile e coerente.
È iniziato l’attacco ai partiti attraverso la subdola campagna “anti-casta”. La loro forza organizzata è stata trasfigurata in “burocratizzazione” parassitaria e coniugata come “costo” della politica, le culture politiche sono state trasformate in “ideologie”, il concetto comunitario e solidaristico della forma-partito è stato sottoposto a una violenta riformulazione individualistica, l’“io” ha prevalso sul “noi”. E, di conseguenza, i diritti sociali sono stati sostituiti dai diritti individuali, il diritto al lavoro rappresentato come un’anticaglia anti-economica, appendice inservibile del Novecento.
In questo nuovo humus ha perso la sinistra e s’è affermato il berlusconismo, variante benigna ma anticipatrice della destra che oggi governa. L’asse partiti-governo è stato sovvertito. I presidenti del Consiglio non necessariamente sono espressi dai partiti e nemmeno i governi nascono dalla diretta volontà di questi. Entrambi, leader e governi, possono essere a tempo pre-determinato o a contratto. Il rapporto partiti e istituzioni è mediato da corpi e interessi che non sempre li rappresentano.
La vittoria della cultura neo-liberista, cui la sinistra oppone una pallida variante sociale, apre le porte alla “post-politica” la quale, a sua volta, è un formulario di tecnicalità utile per ottimizzare le performance di governo. Il buongoverno sta nell’efficienza degli strumenti gestionali non nella democraticità o nella forza diffusiva del welfare. La Costituzione è riformabile “a pezzi”, a volte per via indiretta attraverso leggi elettorali a prevalenza maggioritarie, altre volte con la riduzione del numero dei parlamentari che altera pericolosamente i quorum previsti dalla Costituzione per la formazione degli organi di garanzia.
Conservatori populisti
La campagna per le europee si è aperta, dunque, dentro uno scenario incerto e, allo stesso tempo variabile, con contorni che affacciano direttamente sui campi di una guerra guerreggiata e, sul lato sud, in un mare Mediterraneo brulicante di popoli disperatamente in fuga dalle povertà e, anche qui, dalle violenze della guerra mentre all’orizzonte, in assenza di una risposta politica democratica da parte di quelle forze che dettero vita all’Europa del dopoguerra, si affaccia una reazione populista e conservatrice.
Nel paese, sullo sfondo, la “questione morale” che intendeva risolvere il tema della stabilità politica del paese destabilizzando il quadro storico entro cui la stabilità si era determinata, con il compromesso costituzionale e, dagli anni ’60, con il centro-sinistra di Moro e di Nenni; su questo sfondo si può vedere, anche, la proiezione del “caso Bari” e di tutti i casi di malapolitica e su questo terreno di instabilità “istituzionale” dell’ultimo trentennio si sono accumulati i detriti di un sistema fondato sulla liquefazione dei partiti, sulla disaffezione dalla politica, sull’abolizione del sistema elettorale proporzionale, sull’elezione diretta dei sindaci e dei governatori di regione e, conseguenza, da questo terreno sta muovendo il tentativo di torsione presidenzialistica della Costituzione.
Non so se si farà a tempo a organizzare una solida opposizione alla destra nostrana e a quella che si agita in Europa. So con ferma certezza che si può batterle e ridurle all’impotenza solo riannodando la democrazia dentro il rapporto tra partiti e popoli, culture politiche e istituzioni. È il sicuro antidoto contro i nazionalismi, gli egoismi e i mali che affliggono l’Europa e ne ostacolano il cammino unitario.
Nei prossimi giorni ricorre il 25 aprile ed il primo maggio. Due ricorrenze che portano alla Costituzione democratica dello stato repubblicano. Ci sia risparmiato il ricordo formale di chi rappresenta la direzione politica del paese, un dovere di routine, in attesa di poter stravolgere la Costituzione, la sicurezza democratica, la stabilità politica e sociale del popolo italiano.
La sinistra e i democratici moderati non si limitino agli ossequi formali. Pretendano una solenne dichiarazione di fedeltà alla Costituzione e alla Repubblica.
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