Ci sono colpe collettive, anche se ci sono colpe individuali. Chi fa parte di un gruppo i cui membri infliggono dolore ai membri di un altro gruppo, in quanto tali, ha colpe, specialmente quando il dolore deriva da relazioni ingiuste di dominazione che producono benefici ingiusti
Nella discussione inevitabile fra i maschi dopo l’ultimo femminicidio ci sono secche da schivare. Uno dei gesti rivoluzionanti a cui ci invita Bonino è anche pensare meglio. Non fare editoriali pensosi, ma indire una manifestazione (ci torno dopo), e però anche pensare meglio prima, durante e dopo (come la storia dei radicali c’insegna, d’altra parte).
Ci sono tante secche che ci fanno oscillare fra senso di colpa e tentativo di distinguere. Ne nomino alcune, a coppie di opposti. Sono fra loro collegate, quindi le distinzioni che faccio sono solo per comodità. Mostro/uomo, o secca del bravo ragazzo: chi commette un atto così efferato è un mostro; no, atti del genere sono in continuità con il modo di essere di molti uomini, nella cultura patriarcale: chi fa queste cose, purtroppo, è uno di noi, è il nostro bravo ragazzo.
Avremmo potuto farlo anche noi, ed è solo caso o fortuna se non l’abbiamo fatto. Cultura/individuo, o secca del patriarcato: il femminicidio è frutto della cultura patriarcale, il singolo femminicida agisce perché imbevuto di quella cultura, in ogni femminicida opera il dispositivo patriarcale; no, il femminicidio è un atto di un singolo, che ne porta intera la responsabilità: sua è la decisione di oltrepassare il limite sacro fra l’asimmetria di genere, il disturbo di attaccamento e la violenza fisica e psicologica.
Colpe individuali/collettive, o secca della violenza di gruppo: tutti gli uomini in quanto tali sono colpevoli; no, sono colpevoli solo i singoli, solo chi commette violenza, pur se la violenza ha gradi e tipologie, e può essere simbolica, psicologica, e poi anche fisica.
Il problema principale che i maschi hanno nella loro discussione e riflessione è cadere in una delle coppie, dimenticandosi l’altra. No: non è questione di mostro, perché sono tratti fastidiosamente normali e diffusi quelli che hanno preceduto la violenza. Che siano anche cause è difficile da stabilire. Ma c’erano prima, e poi c’è stata la violenza.
E molti di noi hanno fatto quelle cose: corteggiamenti insistiti, morbosi, melodrammatici, irrispettosi. Poi non si arriva alla violenza fisica, nella maggior parte dei casi. Ma certo bisognerebbe anche pensare e discutere questa fastidiosa normalità, questa grammatica stantia dell’amore, a cui gli uomini, a tutte le età, non trovano alternativa.
No, non è solo questione individuale, c’entra la cultura, ma ovviamente ogni singolo incarna a suo modo la cultura. Il patriarcato giustifica, attenua, rende meno salienti; per esempio ci fa trovare normali quei riti di corteggiamento, quella melodrammatica disperazione da abbandono.
Ma ogni singolo può fare la differenza, nel bene e nel male. I singoli uomini possono sforzarsi di vedere quel che non hanno visto sinora, o non hanno visto padri e fratelli maggiori, per esempio che l’abbandono o la fine di un amore non è un dramma epocale che giustifica tutto, o che il dolore degli uomini è segno del loro scompenso, più che della crudeltà della donna che abbandona. I singoli uomini possono rimanere ciechi, invece, e addirittura essere preda dei fantasmi del patriarcato, sino ad armare le loro mani.
E sì, ci sono colpe collettive, anche se ci sono colpe individuali. Chi fa parte di un gruppo i cui membri infliggono dolore ai membri di un altro gruppo, in quanto tali, ha colpe, specialmente quando il dolore deriva da relazioni ingiuste di dominazione che producono benefici ingiusti. Chi trae beneficio dal nazismo dei propri antenati e concittadini, o dal razzismo di Stato di un regime di apartheid, o da un sistema industriale che ha danneggiato alcuni, è colpevole. La colpa è collettiva e l’ingiustizia è strutturale. Ma è colpa. Questa colpa non cancella certo la colpa individuale del singolo, ma ad essa si aggiunge, e richiede azioni specifiche, che forse non sono punizioni, ma sono atti di riconciliazione, simbolica e pratica, prese di coscienza.
La manifestazione invocata da Bonino questo dovrebbe essere: un atto pubblico di riconoscimento, che metta confini e limiti, ma dichiari tutto. Anch’io nel mio piccolo sono stato controllante. Anch’io ho tratto beneficio dalla dominazione patriarcale. Non ho ucciso, né ucciderò. Ma mi impegnerò a evitare, in tutti i maschi che potrò influenzare, educare, qualsiasi delle cose che, siano esse cause o meno, vengono prima della violenza. Ci sarà qualcuno nei partiti che si assumerà il compito di avviare questo processo?
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