Anticipiamo le conclusioni dell’indagine della Commissione Cultura del Senato sulla condizione studentesca nelle università e il precariato nella ricerca. Martedì la presentazione a palazzo Madama
Si terrà oggi, martedì 5 ottobre, la presentazione dell’Indagine sulla condizione studentesca nelle università e il precariato nella ricerca. All’incontro, previsto per le 14.30, parteciperanno la presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza e il presidente del Cun Antonio Vicino. Alla conferenza stampa prenderà parte anche la ministra dell’Università e della ricerca, Maria Cristina Messa. Di seguito anticipiamo le conclusioni dell’Indagine conoscitiva.
Le conclusioni
«Il raffronto tra l’Italia e gli altri paesi Ocse restituisce un quadro che evidenzia serie problematiche che richiedono l’attenzione della commissione e delle istituzioni tutte. Il numero di giovani adulti (tra 25 e 34 anni) in possesso di un’istruzione di tipo terziario è significativamente inferiore alla media dei paesi Ocse e degli stati dell’Unione europea. Ciò indica una minore capacità del sistema universitario e post-universitario di attrarre giovani e di assicurare il completamento del percorso formativo.
Il sottofinanziamento ha configurato un sistema universitario troppo ristretto, con un’offerta formativa angusta e selettiva, incapace di stimolare, sostenere e raccogliere la potenziale domanda di formazione, di studio e di futuro delle nuove generazioni. Qui sta un’enorme questione sociale, che si protrae da molti anni e che è stata aggravata dagli effetti distorsivi della pandemia. L’università italiana appare, agli esiti di questa indagine conoscitiva, chiusa e respingente per larghe fasce sociali di popolazione, con il rischio di una vera e propria crisi di credibilità e di legittimazione sociale nel rapporto con l’opinione pubblica. Troppo ampio è il divario tra le aspettative di chi è in possesso di un’istruzione terziaria e le dinamiche del mercato del lavoro. Questo cortocircuito mortifica ambizioni e potenzialità di molti neolaureati e le cause che lo innescano vanno ricondotte alla mancanza strategica di una sinergia progettuale tra politica universitaria, politiche lavorative e di sviluppo, politica per la pubblica amministrazione.
Elementi di criticità che pregiudicano le potenzialità del nostro sistema paese, sia in termini economici e competitivi, sia in termini di mobilità sociale e di coesione sociale. Nel tempo della incessante rivoluzione tecnologica che oggi viviamo, sempre più il lavoro è legato a specifiche competenze e dunque poter assicurare il diritto alla competenza è fondamentale per perseguire il diritto sociale al lavoro. Gli effetti innescati in termini di crisi economica, sociale ed educativa dalla pandemia da Covid-19 rischiano di aggravare ingiustizie e disparità già esistenti e di produrne di nuove, in assenza di adeguate misure di intervento pubblico. Occorre impedire che moltissime ragazze e ragazzi possano trovarsi costretti nella condizione di dover rinunciare al proprio percorso di studi. Investire nel diritto allo studio significa dare forza a energie fondamentali non solo per i destini individuali, ma collettivi, per il nostro paese, per il suo ruolo nel mondo.
Il sistema universitario e postuniversitario risulta destinatario di livelli di investimento in rapporto al Pil, sia pubblici sia privati, inferiori rispetto a quanto accade negli altri paesi con cui è stato condotto il raffronto. Un sistema ancora fragile, con troppe differenze tra regioni del nord e regioni del sud, che espone al rischio di desertificazione interi territori. Entrando nel merito del diritto allo studio, la tassazione universitaria è superiore alla media, eccessivamente alta, mentre la quota degli studenti che beneficiano di sostegni finanziari pubblici per i loro studi è ancora troppo bassa. L’Italia ha un numero troppo esiguo, tra i peggiori in Europa, di immatricolati, di laureati e di ricercatori. Questo dato statistico impietoso simboleggia l’esistenza di una «questione universitaria» nel nostro paese. Analizzando qualitativamente i numeri, emerge una preoccupante barriera sociale: per chi proviene da istituti tecnici e professionali è molto difficile accedere ai percorsi universitari e continuare a studiare, dovendo superare ostacoli di ordine sociale, culturale ed economico spesso molto più impegnativi rispetto ai loro pari provenienti dai licei. L’«ascensore sociale» legato all’istruzione appare inceppato da troppo tempo. A laurearsi sono nella quasi totalità i figli di chi è già laureato. Investimenti strutturali e massicci nel diritto allo studio possono correggere questa stortura e contribuire in modo sostanziale all’attuazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione.
A fronte delle criticità riscontrate, con riferimento alla condizione dello studente sulla base dell’illustrazione degli istituti in materia di diritto allo studio e della loro evoluzione, le recenti novità normative indicano che l’Italia ha, negli anni recenti, a partire dalla scorsa legislatura, intrapreso un percorso virtuoso, specie per quanto riguarda l’incremento della platea dei beneficiari delle borse di studio, con la riduzione drastica del numero di «idonei non beneficiari», vero e proprio diritto negato, e la riduzione del livello di tassazione universitaria tramite l’introduzione della cosiddetta no tax area.
Quanto al precariato nella ricerca universitaria e negli enti pubblici di ricerca, tutte le audizioni hanno stigmatizzato il sottofinanziamento e la necessità di un intervento normativo che contrasti la dinamica precarizzante indotta dall’attuale sistema. È emerso come il precariato sia strettamente legato all’eccessiva lunghezza del percorso che conduce all’immissione in ruolo del personale docente, articolato in una serie di posizioni a tempo determinato che finiscono con il creare vane aspettative e trattenere i giovani in uno stato di incertezza circa il loro futuro sino alla soglia (e talvolta anche oltre) dei quarant’anni.
Considerando i dati sul personale docente nel settore dell’istruzione terziaria, in Italia si registra, da un verso, un rapporto fra studenti e docenti molto elevato e, dall’altro, un personale docente con età molto avanzata.
Inoltre, la quota premiale dei finanziamenti, se non riequilibrata, piuttosto che innescare e consolidare un meccanismo virtuoso all’interno del sistema rischia di ampliare disparità tra atenei e territori a danno della necessità di costruire un’eccellenza diffusa anziché concentrata in poche realtà.
Sulla base di queste considerazioni, facendo tesoro delle riflessioni e dei suggerimenti che sono emersi nel corso delle audizioni, la commissione ritiene di poter far proprie le seguenti indicazioni.
1) Risulta necessario attuare la disciplina, recata all’articolo 5, comma 6, della legge n. 240 del 2010 (e recepita dal decreto legislativo n. 68 del 2012, ma rimasta per ora sulla carta), che affida allo stato la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni – LEP, che le regioni, titolari della potestà legislativa in materia, sono tenute a garantire agli studenti in termini di strumenti e servizi del diritto allo studio, per il conseguimento del pieno successo formativo e per rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e personale che limitano l’accesso ed il conse guimento dei più alti gradi di istruzione superiore agli studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi. La definizione dei LEP implica, ai sensi della disciplina vigente, che la borsa di studio, da un lato, debba essere assicurata a tutti gli studenti aventi i requisiti di eleggibilità e, dall’altro, che la determinazione dell’importo minimo standard (che le regioni possono eventualmente accrescere, ma non ridurre) debba essere effettuata sulla base dei costi che occorre effettivamente sostenere per il mantenimento degli studi universitari. Ciò prendendo in considerazione le eventuali differenze in termini di costi della vita (inclusivi delle spese per trasporto, ristorazione, alloggio, etc) che possono variare a seconda della sede dell’ateneo o dell’istituzione di alta formazione artistica, musicale e coreutica.
2) Tenuto conto che l’erogazione delle borse, così come del resto delle altre provvidenze, costituisce una prestazione sociale in ordine alla quale allo Stato spetta la definizione del livello delle prestazioni che deve essere garantito su tutto il territorio, si ritiene opportuna una riconsiderazione dell’articolo 7, comma 1, secondo periodo, ai sensi del quale la concessione delle borse di studio è assicurata «nei limiti delle risorse disponibili» perché questo costituisce il presupposto del fenomeno distorsivo (un vero e proprio diritto negato) dei cosiddetti «idonei non beneficiari» delle borse di studio, peculiarità negativa del nostro paese. Le risorse finanziarie dovrebbero infatti essere determinate tenendo conto dei fabbi sogni effettivi della popolazione studentesca, una volta definiti i livelli minimi di prestazione che si ritiene debbano essere necessariamente assicurati in modo uniforme sul territorio, e non determinate a prescindere da tale processo.
3) Si ritengono necessarie iniziative per ridurre la frammentarietà e la disomogeneità nell’erogazione delle prestazioni, da perseguire, in attesa della definizione dei LEP, in primis assumendo ogni opportuna iniziativa per rafforzare momenti di confronto e collaborazione fra Stato, regioni, enti erogatori e atenei. Un positivo esempio dell’utilità di sinergie tra gli attori è costituito dall’attività del richiamato Tavolo tecnico per lo studio, l’analisi e l’individuazione dei fabbisogni finanziari regionali, in cui sono rappresentati Mur, Mef, Conferenza delle regioni e dell’Andisu. Con proprie proposte, il tavolo ha infatti contribuito alla definizione della disciplina transitoria vigente per la determinazione dei fabbisogni finanziari regionali e la definizione dei criteri di riparto del FIS ai fini della concessione delle borse di studio. A tal proposito, si ritiene inoltre opportuno segnalare la necessità da parte dell’Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario di produrre la relazione annuale sull’attuazione del diritto allo studio e al ministro competente di presentare al Parlamento, così come previsto ogni tre anni, un rapporto sull’attuazione del diritto allo studio.
4) Nell’ambito della rivisitazione della normativa vigente e delle sue modalità attuative, sempre nell’ottica di una maggiore omogeneità territoriale, si ritengono auspicabili:
i) la proposta del Cnsu circa l’opportunità di assicurare, all’interno dei modelli di governance regionali per il diritto allo studio, una rappre sentanza degli studenti. Al riguardo, si potrebbe provvedere mediante la definizione di una disposizione di principio che faccia comunque salve le prerogative regionali in materia;
ii) rendere stabili i finanziamenti destinati al diritto allo studio, anche al fine di poter assicurare un’efficacia pluriennale dell’assegnazione della borsa di studio, evitando la logica dell’assegnazione annuale;
iii) assicurare tempestività nel riparto alle regioni delle risorse al fine di evitare disagi in capo agli studenti, proseguendo nella linea tracciata negli ultimi anni – come rileva la Corte dei conti – anche grazie alle previsioni del citato decreto 11 ottobre 2017, n. 798.
5) Ferma restando l’opportunità di riconsiderare tale disciplina, va rimarcato con particolare favore il consistente incremento del Fondo integrativo statale – FIS registrato negli ultimi anni, già a partire dalla scorsa legislatura, che ha attenuato in modo significativo (sebbene non eliminato) il fenomeno degli idonei non beneficiari e, al contempo, accresciuto la platea degli studenti beneficiari della borsa di studio.
6) Nelle more della definizione dei LEP, occorre pertanto proseguire rafforzando gli stanziamenti al FIS, al fine di annullare la figura degli idonei non beneficiari, e, al contempo, in linea con quanto richiesto dalla Conferenza delle regioni, operare una verifica dell’adeguatezza sia degli importi delle borse di studio, sia delle soglie reddituali e patrimoniali per l’accesso alle stesse. A tal ultimo riguardo, risulta necessario promuovere un’uniformità regionale nell’individuazione delle soglie Isee e Ispe, ad oggi in alcuni casi molto diversificate fra regione e regione.
7) Va segnalata la necessità di un potenziamento del portale del diritto allo studio, in un’ottica sinergica rispetto ai servizi offerti dalle regioni, al fine di prevedere un’unica piattaforma nazionale per l’acquisi zione delle informazioni e per la presentazione delle domande di accesso alle borse di studio degli atenei e delle istituzioni AFAM.
8) Tenuto conto dell’impatto molto positivo dello strumento della no tax area in termini di incremento delle iscrizioni, in particolare tra studenti provenienti da famiglie a reddito basso, e di contrasto alle disuguaglianze, si indica l’esigenza di un ampliamento della platea dei beneficiari tramite un innalzamento delle soglie reddituali.
9) Si ritiene che occorra rendere operativo lo strumento dei prestiti d’onore, tanto più che il nostro è tra i pochi paesi Ocse a non valorizzare tale istituto.
10) Nel condividere l’importanza, nell’ambito dell’effettività del diritto allo studio, di un potenziamento dei servizi abitativi, si ritiene indispensabile: potenziare gli investimenti pubblici ai sensi della legge 14 novembre 2000, n. 338 e favorire la partecipazione di investitori privati, anche attraverso agevolazioni fiscali e consentendo l’utilizzo delle residenze ai fini di ospitalità turistica nei peridi in cui non esse non siano utilizzate dagli studenti. In tale ottica, vanno sottolineati gli intendimenti del governo contenuti nel Pnrr, in cui sono stanziati 960 milioni di euro entro il 2026 con l’obiettivo di pervenire a oltre 100.000 alloggi da destinare agli studenti fuorisede.
11) Contestualmente all’incremento delle residenze studentesche (pubbliche e private), e soprattutto per il tempo intercorrente al completamento degli interventi, occorre rafforzare lo strumento del contributo per le locazioni.
12) Si ritiene necessario rendere effettiva l’assistenza sanitaria agli studenti fuori sede e, a tal fine, si auspica l’istituzione di un tavolo di lavoro con rappresentanti del Muer, del ministero della Salute, del Mef, delle regioni, dell’Andisu, degli atenei e degli istituti Afam e degli studenti, cui demandare l’individuazione delle modalità con cui rendere effettivo tale diritto. Al tavolo spetterebbe la verifica della fattibilità, anche finanziaria, del mantenimento dell’assistenza sanitaria del proprio medico di base nel comune di residenza, oltre a quella del medico scelto nel comune di studio, o della possibilità, in alternativa, che l’assistenza possa essere fornita su iniziativa degli atenei o delle Istituzioni, ferma restando l’assistenza di base nel comune di residenza.
13) Si rileva l’esigenza di valorizzare le esperienze di studio internazionali, sia in termini di incremento dei sostegni economici collegati ai progetti di scambio, ed in particolare l’Erasmus, sia di maggiore flessibilità dei piani di studio universitari per facilitare il riconoscimento dei crediti acquisiti all’estero.
14) Contestualmente si richiama l’attenzione del governo sulle richieste, raccolte nella presente indagine, volte all’adozione di misure, anche di carattere sperimentale, per la promozione della mobilità fra atenei italiani, come occasione formativa di studio e di vita da riservare a coloro che non abbiano la possibilità o l’interesse di partecipare a progetti di scambio internazionale.
15) Va segnalata inoltre l’esigenza di un ulteriore potenziamento della didattica, da conseguire:
i) proseguendo nel trend di crescita, registrato negli ultimi anni, della dotazione finanziaria a disposizione delle università e delle istituzioni (in particolare attraverso un incremento del Fondo per il finanziamento ordinario – FFO);
ii) individuando soluzioni normative che consentano di pervenire ad un bilanciamento fra l’esigenza di mantenere meccanismi premiali nel riparto del FFO a beneficio degli atenei e delle istituzioni che si contrad distinguono nella loro attività e, al contempo, la necessità di evitare gli effetti negativi, segnalati nel corso delle audizioni, nei confronti degli enti che, già gravati dalla carenza di risorse umane e finanziarie, non trovano la forza di vincere il circolo vizioso «minore qualità, dunque minori risorse, dunque minore qualità»;
iii) potenziando le risorse umane, ed in particolare accrescendo l’organico del personale docente, così da pervenire ad una riduzione del rapporto tra studenti e docenti che oggi appare ingiustificatamente elevato e, al contempo, ad una riduzione dell’età media del corpo docente;
iv) assumendo ogni opportuna iniziativa al fine di favorire percorsi di studio flessibili che consentano, anche su iniziativa degli studenti, una loro integrazione con insegnamenti con cui poter acquisire competenze trasversali sempre più ricercate nel mondo del lavoro.
16) Con l’obiettivo di favorire l’esercizio del diritto di voto da parte degli studenti fuori sede, si invita il governo ad istituire un tavolo di lavoro che verifichi, anche attraverso il confronto con le misure adottate negli altri paesi, le modalità con cui poter consentire la piena partecipazione degli stessi alle procedure elettorali.
17) Sul precariato nella ricerca universitaria e sulle misure strutturali di contrasto da cui muove l’istituzione della presente Indagine conoscitiva, è stata evidenziata, innanzitutto, la questione della modifica del sistema attuale in quanto caratterizzato da un percorso di pre-ruolo successivo al dottorato di ricerca eccessivamente lungo e costellato da una serie di posizioni a tempo determinato – incluse quelle di natura occasionale, a progetto, di collaborazione, spesso con una durata non in linea con le esigenze dell’attività di ricerca e caratterizzate da forme di tutela inferiori rispetto a quelle tipiche dei rapporti di lavoro subordinati – al termine di ciascuna delle quali si pone il rischio del mancato rinnovo. Al riguardo, si segnalano alcune priorità:
i) la necessità di valorizzare il titolo di dottore di ricerca, sia in ambito di reclutamento universitario sia nel mercato del lavoro e della pubblica amministrazione;
ii) la necessità di una radicale revisione dell’attuale disciplina normativa dell’assegno di ricerca. Nel corso delle audizioni, è stato evidenziato con forza come esso costituisca l’anello debole del sistema nazionale di pre-ruolo, con un utilizzo abnorme e surrettizio che ha indotto negli anni una pesante precarizzazione del sistema a scapito della qualità e della potenzialità di migliaia di ricercatori. A tal proposito, è emersa la necessità di potenziare il ciclo del post-dottorato nel suo complesso (evitando, ad esempio, una frammentazione dell’assegno su più annualità) e di rafforzare le tutele contrattuali dei titolari dell’assegno assimilandole, per quanto possibile, a quelle tipiche di contratti subordinati, ossia, in ipotesi, al pari delle condizioni previste per il ricercatore confermato a tempo indeterminato a tempo pieno;
iii) al pari dell’assegno di ricerca, assume una posizione di criticità la tipologia A del ricercatore a tempo determinato, di cui all’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240 del 2010.
18) In virtù di una possibile riforma del pre-ruolo universitario, è stata altresì evidenziata la questione della necessità di introdurre una disciplina transitoria per ricercatori a tempo determinato, assegnisti e borsisti di ricerca che attualmente stanno sostenendo una parte consistente, fondamentale, del carico didattico. Ferma l’esigenza di salvaguardare la qualità della didattica, si è ipotizzata l’introduzione, per i precari in servizio, di meccanismi di tenure track ovvero di disposizioni di stabilizzazione analoghe a quelli applicate ai ricercatori a tempo determinato degli enti pubblici di ricerca, ferme restando le peculiarità dei diversi sistemi e in ogni caso l’esigenza di non ostacolare il ricambio generazionale. A tal proposito, è emerso quale elemento strategico – pur in considerazione delle diverse tipologie di governance – l’opportunità di concorrere a una maggiore integrazione e osmosi, sia in termini di ricerca sia di personale, tra il sistema universitario e quello degli enti pubblici di ricerca.
19) Con riferimento al personale universitario di ruolo in servizio, emergono importanti questioni in relazione ai ricercatori a tempo indeterminato (ruolo ad esaurimento). In riferimento alle criticità emerse, appare necessario rendere permanente la procedura di chiamata di cui all’articolo 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010 (applicabile ai ricercatori a tempo indeterminato in possesso dell’Asn, già in servizio presso l’istituzione che attiva la procedura di chiamata), nonché sopprimere il limite, valevole per tale tipologia assunzionale, del 50 per cento delle risorse equivalenti a quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo. Si è ipotizzata, inoltre, una revisione dei criteri di conseguimento dell’Asn, al fine di rendere possibile una valutazione della qualificazione scientifica complessiva per l’intera carriera dei candidati, tenendo in considerazione anche l’impegno nella didattica.
20) È fondamentale rimarcare la necessità di programmare un piano di rilancio ed espansione del sistema universitario che abbia l’obiettivo di recuperare il terreno perduto a seguito di pesanti tagli di risorse e di incrementare la dotazione del personale di ricerca ai livelli necessari a fare fronte alle esigenze del sistema paese, con l’obiettivo di varare un programma di reclutamento strutturale e pluriennale, superando la logica dei piani straordinari (pure dimostratisi assolutamente importanti per aver consentito di recuperare una parte dei ruoli strutturati che erano andati perduti). Una programmazione assunzionale che consenta il ritorno al dimensionamento del 2008, da conseguire entro 3 anni. L’esigenza di ricorrere ad un reclutamento straordinario e di pervenire quanto prima a forme di reclutamento ordinario con carattere periodico – in connessione anche con la riforma del pre-ruolo – risponde alla necessità e all’urgenza di rafforzare l’investimento nell’alta formazione e nella ricerca, anche in sinergia con gli obiettivi e gli impegni fissati nel Piano italiano del Next generation Ue – Pnrr, allineando così l’Italia ai principali paesi Ocse.
Obiettivo di questa Indagine conoscitiva è il rilancio del diritto allo studio, dell’università e della ricerca pubblica, in modo da porli al centro di un nuovo modello di sviluppo che affronti i nodi posti in evidenza dalla crisi pandemica, aprendo un grande dibattito pubblico sul futuro del nostro paese».
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