Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che si appresta a intervenire sui programmi scolastici del primo ciclo d’istruzione, ha giustificato questa esigenza portando l’esempio dei dinosauri: a cosa serve insegnarli ai bambini? La risposta di un genetista, il professor Guido Barbujani
Ma a cosa serve spiegare i dinosauri alle elementari? si chiede il ministro Valditara.
Senza pensarci su tanto, mi viene da dire che ai bambini i dinosauri piacciono, fin da piccolissimi: si può parlarne con loro molto prima che sviluppino qualche curiosità per la breccia di Porta Pia o per i cosiddetti valori dell’Occidente. Ma in realtà la domanda merita un minimo di riflessione.
A cosa serve mandare a scuola i bambini? Vogliamo che ci imparino delle cose, o che imparino a ragionare sulle cose? Se la risposta è: tutte e due, come credo, allora non c’è niente di meglio che parlar loro di evoluzione.
Può essere l’evoluzione dell’universo, o della vita sulla terra, o della specie umana, non importa; va bene anche l’evoluzione delle lingue, e mi scuso con i linguisti a cui la parola non piace perché ritengono (secondo me, a torto) che evoluzione implichi per forza un progresso.
In ogni caso, i bambini vengono a conoscere eventi che si susseguono nel corso del tempo, con un prima e un dopo: vicende molto narrabili, in cui la storia (del cosmo, dell’umanità, delle parole…) si converte facilmente in storie che affascinano e mettono in moto riflessioni.
I bambini capiscono che il mondo di oggi non è quello di ieri, e cominciano a fare domande. Ma come mai, se i dinosauri erano così grandi e temibili, si sono estinti? Se è perché intorno a loro è cambiato l’ambiente, non potrà capitare anche a noi? Partendo da rettili vissuti in un passato lontanissimo si arriva a temi di esplosiva attualità: il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, e come proteggere il pianeta.
Nel mezzo di una complicatissima e indispensabile transizione ecologica, i cittadini di un paese culturalmente avanzato devono avere un’idea del posto dell’uomo nella natura, come diceva uno che se ne intende, Thomas Huxley. Bisogna che sappiano che la vita sulla terra ha assunto infinite forme meravigliose, come diceva un altro che se ne intende, Charles Darwin, e noi apparteniamo a una delle tante specie viventi, non più indispensabile delle altre, legata alle altre da antenati comuni vissuti milioni o miliardi di anni fa.
Come i dinosauri, abbiamo un cranio e una spina dorsale, e un ambiente in cui sopravvivere, trovando risorse e facendo in modo che non si esauriscano. Eccoci qua: ragionando su estinzioni di milioni di anni fa finiamo per parlare del presente, di politiche ambientali sostenibili, come ci sollecita a fare papa Francesco nella sua Laudato si’.
Ma c’è di più. In Italia non soffriamo solo di una drammatica carenza di laureati in discipline scientifiche (ne servirebbero il doppio), come ci ricordano ogni anno l’Istat e lo stesso ministero dell'Istruzione e del Merito. Per dirne una, oltre metà degli italiani non dispone delle conoscenze matematiche di base: questo li rende cittadini fragili, meno dotati di strumenti per orientarsi nel mondo in cui viviamo, sempre più permeato di tecnologia. Ci vuole una robusta iniezione di pensiero logico e scientifico: nelle famiglie, nelle scuole e anche nell’università, dove queste carenze emergono crudelmente. Bisogna cominciare presto, e da cosa cominciare se non dai temi che stimolano l’interesse e la curiosità dei ragazzi?
Si sa, fin dai tempi di Darwin c’è chi diventa nervoso a sentir parlare di evoluzione. È ora di smetterla, però. Se nell’Inghilterra vittoriana ogni accenno al cambiamento (sociale o biologico) suscitava reazioni allarmate, oggi la rivoluzione francese è passata da un pezzo, siamo in piena rivoluzione tecnologica, e dovremmo aver digerito l’idea che discendiamo da antenati non umani.
Non va da nessuna parte un paese ostile alla scienza, all’insegnamento della scienza e alla logica scientifica: non come uniche bussole per orientarci nel presente, certo, ma come strumenti fondamentali per esercitare con consapevolezza il nostro ruolo di cittadini. Anche creature estinte da 65 milioni di anni possono aiutarci ad alleviare il nostro disagio, se abbiamo l’intelligenza di starle a sentire.
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