«Per quello che ho da fare… Vado al massimo… Vado a Sanremo: mi butto nella gara e… arrivo alla finale del sabato sera. Poi tra gli ultimi della classifica finale ma, come si sa, “beati gli ultimi” e io ero beatissimo del mio successo, avevo fatto centro». Il ricordo del cantautore
Per quello che ho da fare… Vado al massimo… Vado a Sanremo: mi butto nella gara e… arrivo alla finale del sabato sera. Poi tra gli ultimi della classifica finale ma, come si sa, “beati gli ultimi” e io ero beatissimo del mio successo, avevo fatto centro.
Ci andai perché Ravera in persona (il factotum del festival allora) mi offriva la platea nazionale della televisione garantendomi soprattutto la libertà di di fare quello che volevo.
Geniale Ravera, aveva capito che la musica nell’aria stava cambiando e che io rappresentavo il nuovo. Per questo accettai l’invito e ci andai.
Ci andai da solo, perché nessuno dei miei fidati collaboratori di allora, leggi Guido Elmi in primis, volle accompagnarmi, non ci credevano. Io, invece, sapevo bene quello che facevo. Avevo già scritto canzoni come Jenny, Albachiara, La noia, La nostra relazione, Colpa d’Alfredo… Siamo solo noi. I miei primi 4 album rock erano fuori. Andavo bene con i concerti, ma mi conoscevano per lo più a livello regionale, in Emilia, un po’ in Lombardia e un po’ in Piemonte.
La platea nazionale mi serviva, certo. Ma quello che volevo io soprattutto, era sbalordirli, provocarli, scuotere in loro un’emozione, dissacrare quel palco con ironia e provocazione : «Vado al massimo… vado al massimo… vado a gonfie vele...» (che non era per niente vero, in realtà).
Ero certo che avrei colpito e, nel bene o nel male affondato, chi dalla platea del teatro a quella della tv, mi guardava (anche se pochi allora dichiaravano di guardare il festival, in realtà tutti mi avevano visto..).
Più che una sfida, quei 3 minuti di esibizione, lo spazio di una canzone, rappresentavano per me un’occasione unica per farmi notare da più gente possibile.
Importava solo il palco
Della gara, a me, non m’importava nulla e tantomeno di vestirmi “elegante”, io avevo il mio look da concerto, jeans e giacca in pelle. Ricordo che dietro le quinte mi guardavano tutti come se io fossi un alieno quando per me gli alieni erano loro che si stravestivano e si truccavano, a me interessava solo salire sul palco e nient’altro.
Alla finale del sabato sera ci sono arrivato e questo a me bastava e avanzava. Ormai è storia che nella classifica finale ero in fondo ma fuori da lì cominciò davvero la mia straordinaria avventura live. Nell’aprile usciva il mio quinto album - Vado al massimo - con pezzi molto provocatori come Sono ancora in coma, Cosa ti fai, e brani del peso di Ogni volta e Canzone e il calendario di date live si infittiva.
L’anno dopo
L’anno dopo ci sono tornato a Sanremo, per riconoscenza nei confronti di Gianni Ravera che mi aveva dato carta bianca, e solo perché avevo la canzone giusta: Vita spericolata, una bomba, che avevo appena finito di scrivere.
Devo tutto alla musica che non fa distinzioni di sorta, non è il passare del tempo che conta, ma come lo usi. Intrigante è il viaggio che la musica ti permette tra fortissime emozioni, splendide illusioni e tremende delusioni. Sono 70 volte che la terra mi fa girare intorno al sole e… la testa non mi gira ancora.
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