- È uscita la terza parte del sesto rapporto IPCC sui cambiamenti climatici: se la prima poneva l’accento sui danni al pianeta e la seconda sulle vulnerabilità dei paesi, questa si occupa della mitigazione delle emissioni, quindi delle soluzioni.
- Il rapporto ci dice che abbiamo già la tecnologia e la conoscenza, quello che manca è la volontà politica e finanziaria. Mostra un mondo sostenibile e decarbonizzato, ma quel mondo non è ancora il nostro. La traiettoria attuale ci porta verso un aumento delle temperature di 2.8° C.
- Nel mondo esiste la liquidità finanziaria per pagare la transizione, anche perché i costi dell’energia pulita sono crollati nell’ultimo decennio. Solo che gli investimenti vanno ancora altrove. «I nuovi progetti fossili sono una pazzia morale ed economica», ha detto il segretario generale Onu Guterres.
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FILE - In this Sunday, Aug. 27, 2017. file photo, two kayakers try to beat the current pushing them down an overflowing Brays Bayou from Tropical Storm Harvey in Houston, Texas. The Intergovernmental Panel on Climate Change report released on Monday, Aug. 9, 2021, says warming already is smacking Earth hard and quickly with accelerating sea level rise, shrinking ice and worsening extremes such as heat waves, droughts, floods and storms. (Mark Mulligan/Houston Chronicle via AP, FIle)
L'umanità è a un incrocio. Abbiamo la conoscenza e la tecnologia per imboccare la strada verso un futuro vivibile, con un aumento di temperature sopportabile. Il problema non sono gli strumenti, ma le barriere politiche e finanziarie. Questo è il messaggio della terza parte del rapporto Ipcc sui cambiamenti climatici, un documento che oscilla tra speranza e sconforto.
Disegna un mondo sostenibile e decarbonizzato, accessibile e possibile, ma mostra che quel mondo non è ancora il nostro. La traiettoria presa dopo il vertice di Glasgow ci porta verso un aumento di quasi 3°C delle temperature entro fine secolo, il doppio del sopportabile.
Siamo ancora in tempo per svoltare nella direzione giusta, ogni anno che sprechiamo renderà la transizione più difficile e costosa. L'Ipcc ci avverte che non fare la transizione ci costerebbe, in danni fisici e sociali, molto di più che farla.
Questi sono i numeri più certi che esistano su questo argomento: l'Ipcc è l'organismo dell'Onu che si occupa dei cambiamenti climatici, non produce scienza ma la aggrega, centinaia di autori analizzano per anni migliaia di ricerche, per verificare su cosa c'è consenso e su cosa no. Questo lavoro viene sintetizzato in un documento di sessanta pagine per i decisori politici.
Ogni singola parola viene pesata e discussa, perché questi documenti ciclici non sono letti più solo da scienziati e ministri.
Il rapporto speciale Ipcc del 2018 sui rischi del riscaldamento globale fu uno degli inneschi dei movimenti per il clima, l'energia che ci ha dato Greta Thunberg, Fridays for Future ed Extinction Rebellion.
Dopo la guerra
Sono ancora da capire le conseguenze di questo rapporto, in un mondo distratto da guerra e pandemia. È arrivato a puntate: ad agosto la prima, sull'impatto per il pianeta. Quattro giorni dopo l'invasione in Ucraina la seconda, sulla vulnerabilità, il riassunto dei danni sociali ed economici che paesi, popoli e comunità dovranno affrontare nei diversi scenari. Era quello che il segretario generale Onu Guterres aveva definito: «atlante della sofferenza umana».
La terza parte, uscita ieri, è la più delicata, perché parla di mitigazione delle emissioni, contiene i compiti a casa per l'umanità, le opzioni e le tabelle di salvezza. «Se cerchiamo le buone notizie, questa è la sezione giusta, perché la mitigazione è lo spazio per correggere il corso della nostra storia», spiega Stefano Caserini, che su questo tema ha una cattedra al Politecnico di Milano ed è uno dei massimi esperti italiani in materia. «L'Ipcc però non propone soluzioni politiche, spiega ai governi quali sono le alternative e i compromessi per raggiungerle».
Il principio base è che abbiamo un budget limitato di emissioni da consumare prima che i cambiamenti diventino insostenibili: 500Gt di CO2. Con le infrastrutture esistenti per carbone, petrolio e gas siamo sulla già strada per emettere 660Gt di CO2, senza contare i nuovi progetti di estrazione, dal petrolio americano al gas russo al carbone cinese.
«Ogni nuovo progetto fossile è una pazzia morale ed economica», ha detto Guterres alla conferenza di presentazione.
Per uscirne serve una frenata brusca: nei prossimi otto anni dobbiamo tagliare le emissioni del 48 per cento. Dobbiamo arrivare a zero nel 2050 (se vogliamo un pianeta di 1,5° C più caldo) o 2070 (se ci va bene un aumento di 2°C). Gli impegni presi con la COP26 ci portano su una traiettoria di 2.8°C, quasi il doppio del limite. Oggi siamo già a 1.1°C.
Si parla troppo di catastrofi e non abbastanza di soluzioni: il rapporto Ipcc sulla mitigazione ne contiene di ogni tipo e scala. Ci sono quelle spendibili subito (le rinnovabili), quelle sottovalutate (efficienza e risparmio), quelle da non sopravvalutare (riforestazione, cattura della CO2 dall'aria). Ci sono nuovi modelli di città, più piccole e compatte, c'è il potenziale della ristrutturazione profonda degli edifici.
«Non ci sono soluzioni valide per ogni contesto. Ma ce ne sono abbastanza per ogni contesto», dice Caserini. Per l'orizzonte lungo (2050) alcune devono arrivare a maturazione, come quelle per ridurre le emissioni delle industrie pesanti, acciaio o cemento. Ma per quello breve (2030) l'energia da rinnovabili è già più conveniente di quelle fossili.
Negli ultimi dieci anni il costo del fotovoltaico è sceso dell'85 per cento, l'eolico del 55, le batterie dell'85. I governi hanno il compito di abilitare la transizione e sbloccarne il potenziale. Sulla scala italiana, la traduzione di questo invito è: basta con i conflitti sul territorio per le rinnovabili bloccate da sovrintentenze e regioni.
Un messaggio chiave è che nel mondo esiste già oggi liquidità sufficiente per coprire i costi della transizione, ma quelle risorse sono indirizzate altrove, come i 4.600 miliardi di dollari riversati su carbone, petrolio e gas dalle 60 principali banche al mondo negli ultimi anni, come raccontato da un altro rapporto, Banking on Climate Chaos.
Per un futuro abitabile gli investimenti devono crescere di sei volte rispetto a quelli attuali e tenere in considerazione che i cambiamenti nella struttura economica possono essere distruttivi, dentro i paesi e nei rapporti tra essi. «Il rapporto pone l'accento sull'equità, perché la giustizia climatica non è un tema da ambientalisti, ma una priorità globale del futuro», chiosa Caserini.
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