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Fra le diverse date della memoria di cui è cosparso il nostro calendario ce n’è una, passata totalmente inosservata, che potrebbe aiutare a comprendere a quanto sta succedendo in questi giorni alle porte dell’Europa.
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Il quarto sabato di novembre è, infatti, il giorno del ricordo delle vittime dell’Holomodor, la terribile carestia che colpì l’Ucraina fra il 1932 ed il 1933.
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Per gli ucraini l’Holomodor è il simbolo del dominio russo patito durante gli anni sovietici. La prova che sotto i russi non ci può essere autonomia.
Fra le diverse date della memoria di cui è cosparso il nostro calendario (ce ne ricordava un’altra Luigi Mastrodonato su Domani del 19 febbraio) ce n’è una, passata totalmente inosservata, che potrebbe aggiungere un tassello di comprensione a quanto sta succedendo in questi giorni alle porte dell’Europa.
Il quarto sabato di novembre è, infatti, il giorno del ricordo delle vittime dell’Holomodor, la terribile carestia che colpì l’Ucraina fra il 1932 e il 1933. Il nome attribuito a questo tragico evento, letteralmente «sterminio per fame», fa capire che per la memoria ucraina non si trattò affatto di una calamità naturale. Ben presente fu la mano dell’uomo.
Il tradimento di Stalin
L’inizio degli anni ’30 fu durissimo per la neonata Urss. Fra il 1930 e il 1934, una serie di carestie colpì il territorio sovietico, tanto da, sommate ad altri fattori, mettere a rischio la possibilità di sfamare l’intera popolazione. Se si aggiungono i debiti che l’Unione sovietica doveva ancora alle nazioni straniere, si capisce che Stalin fosse davvero di fronte a una crisi di sistema, col rischio di veder crollare tutte le conquiste rivoluzionarie.
La risposta fu un grande programma di collettivizzazione delle terre. Fu il tradimento di Stalin rispetto alla dottrina nazionale che lui stesso e Lenin avevano elaborato in contrasto con la dottrina marxista classica.
La principale intuizione della rivoluzione bolscevica fu quella di sfruttare le rivendicazioni nazionali in ottica rivoluzionaria, venendo meno al dogma internazionalista di Marx ed Engels.
Sarà lo stesso Stalin, nel 1913, a definire il rapporto fra marxismo e nazionalità in un saggio che farà scuola. Va detto che i tentativi di centralizzazione ci furono anche negli anni ’20, ma le autorità di Mosca trovarono resistenza fra i piccoli contadini e proprietari terrieri (kulaki), che potevano utilizzare l’ampio armamentario ancora circolante dal periodo rivoluzionario.
Negli anni ’30 quelle armi erano ormai state requisite da tempo. L’azione più dura della repressione sovietica fu verso l’Ucraina, considerato il granaio dell’Urss. Con i mezzi che lo avrebbero reso noto, Stalin fece requisire raccolti, campi, animali e qualunque risorsa potesse servire a sfamare gli operai e l’enorme apparato sovietico. Furono sequestrate anche le semenze.
Chi si opponeva era additato come nemico del popolo e della nazione. Il risultato furono dai 4 ai 7 milioni di vittime tra il 1932 e il 1933. La maggior parte delle quali morì in due mesi, appena finite le risorse alimentari. Su tutto calò la censura staliniana.
Nessun riferimento dalla stampa ufficiale, la testimonianza era affidata alla trasmissione orale, assai difficile, però, in un sistema che glorificava come eroi nazionali i figli che denunciavano i padri. I morti, la maggior parte bambini e soggetti fragili, trovarono sepoltura in anonime fosse comuni. Oggi, a Kiev, è eretta a ricordo della grande carestia una bellissima e toccante statua di una bambina scheletrica con in mano delle spighe di grano.
Passato e presente
Se si parte da qui, forse si capiscono meglio le parole del presidente ucraino Volodymir Zelensky che, dopo aver tentato di gettare acqua sul fuoco della retorica bellica americana, una volta che sembrava scampato il pericolo dell’invasione russa grazie anche alle rassicurazioni occidentali, ha cambiato registro e ribadito l’importanza di un’adesione alla Nato del suo paese. Sottolineando che sarebbe una garanzia di protezione.
Per gli ucraini l’Holomodor è il simbolo del dominio russo patito durante gli anni sovietici. Un omicidio di massa perpetrato da Stalin contro la resistenza dei kulaki; la prova che sotto i russi non ci può essere autonomia. Se è vero che i due popoli sono vicini, che ogni russo ha almeno un parente in Ucraina, non si può nemmeno trascurare la memoria storica, che è poi quella comune a molti paesi dell’est Europa.
Tradotto nello scenario attuale: se la Russia non può consegnare l’Ucraina all’occidente, l’Ucraina non può consegnarsi alla Russia. Ed anche l’idea di una sua finlandizzazione non pare troppo rassicurante. Dunque, o lo status quo stabilito dagli Accordi di Minsk, o ogni forzatura di mano rischia di svegliare il can che dorme.
Un’ultima cosa: l’Holodomor non è ancora oggi riconosciuto come genocidio dall’intera comunità internazionale perché anche i genocidi sono definizioni politiche e la Russia, ovviamente, continua a portare avanti la narrazione della calamità naturale. Questa sarebbe la storia europea scritta da Mosca.
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