Nella mia tana di orso, li sento schiamazzare, festeggiare, dalla finestra. E questo mi sembra strano. Non soltanto perché le tane degli orsi di solito sono sprovviste di finestre. Mi sembra molto strano che siano lì a fare festa, per i venticinque anni dall’uscita del primo numero – che poi, per la precisione, era il numero zero – di PK - Paperinik New Adventures. Per gli amici, Pikappa. Ma procediamo con ordine, cominciando dalla questione dell’orso che io sono diventato. Non con tutti, intendiamoci. Anzi, ritengo di essere un tipo piuttosto socievole. Negli ultimi tempi, però, ho cominciato a sviluppare una sorta di “mal sopportazione”, diciamo così, nei confronti dei fan più accaniti del fumetto Disney. E questa è una via di mezzo tra una confessione, una excusatio non petita e una captatio benevolentiae (sono un orso che ha fatto il liceo classico, a Gallarate). Vi voglio bene, ragazzi. E so che voi ne volete a me. Mi avete anche dato il “Premio Papersera”, enorme motivo di vanto con gli amici al bar. Ma io proprio non vi capisco, non vi seguo. Più andate avanti, più tornate indietro. Avete trent’anni, a dir tanto, e vivete nel rimpianto degli anni Sessanta. E anche anni Sessanta è dir tanto.

Ehi, sia chiaro: anch’io adoro le storie di Topolino di Romano Scarpa, le strisce Mickey Mouse di Floyd Gottfredson e le avventure di zio Paperone di Carl Barks, giusto per citare soltanto la Santissima trinità. Però di questi autori apprezzo anche, per certi versi soprattutto, la capacità di usare come materiale narrativo il proprio tempo. I loro paperi e topi rappresentavano l’umanità che li circondava. La loro narrazione era specchio e finestra. Sguardo attorno e in avanti, non alle spalle. Prendere esempio da questi grandi autori Disney non significa clonarne stile e trame, ma riuscire a usare quello stesso sguardo, qui e oggi. Da questi maestri, bisogna imparare l’approccio al racconto. Piantatela con la litania “Topolino una volta era più bello”, riferendovi a sapori ed emozioni di epoche in cui non eravate nemmeno nati.

Dall’alto della mia quasi veneranda età, vi do una brutta notizia: di settimana in settimana, su Topolino si alternavano storie molto belle, abbastanza belle, medie e mediocri, bruttine e brutte. C’erano i capolavori memorabili. E c’erano i riempitivi, io mi ricordo anche di quelli (e secondo me erano pure più che adesso).

Il personaggio

Ma veniamo a Pikappa. L’originale. Per chi non lo sapesse, si trattava di una versione aggiornata del personaggio di Paperinik, con uno sguardo ai fumetti di supereroi e uno ai manga. Ma confluivano suggestioni di tanti tipi, da tante direzioni: cinema, design, grafica, letteratura... e tutte quelle strane cose che cominciavi a trovare in rete, “su internet”, se avevi la tenacia e la pazienza di collegarti con quei modem dal fischio iniziale che ancora mi è rimasto nelle orecchie.

Pikappa era un personaggio fortemente calato negli anni Novanta, l’epoca della disillusione seguita a quella dell’edonismo. A Paperino non bastava mettersi il costume da Paperinik e calzare stivali a molla, per salvare il mondo. C’erano nemici nuovi, a cominciare dagli alieni Evroniani, in grado di trasformare i terrestri in coolflame: simulacri viventi, inebetiti e privi di volontà di reagire e ribellarsi, come le vittime di un Grande fratello. C’erano i problemi di Paperino, quando era soltanto sé stesso, privo di maschera, e doveva tirare a campare con un mestiere di guardiano di un grattacielo di centocinquanta piani (più uno segreto), acquistato all’asta da zio Paperone, dopo la sparizione di un misterioso e bizzarro miliardario che l’aveva costruito. C’erano i conflitti interiori di Paperino e di Paperinik, un papero che doveva farsi in due e allo stesso tempo era anche diviso in due: indomito supereroe, capace di imprese mirabolanti, e papero come tanti, papero come noi, pieno di dubbi e paure.

Il primo numero di PK - Paperinik New Adventures scritto da me (peraltro interamente: comprese la storia breve finale e le rubriche) si intitolava Trauma e affrontava il tema della paura, rivelando un episodio di bullismo subito da Paperino quando andava ancora a scuola. C’erano un paio di pagine di flashback, al riguardo, e in sceneggiatura avevo chiesto al disegnatore, un Lorenzo Pastrovicchio quasi esordiente (oggi è una star), di farle con uno stile vecchio, da Topolino degli anni Settanta, perché quello era il passato. Mentre nel resto della storia la classica gabbia del fumetto Disney era mandata in frantumi, con un approccio esplosivo e ipercinetico. E già solo il titolo, Trauma, a ripensarci era una rivoluzione. Anche oggi sembrerebbe troppo.

Il PK-Team

Quello era il numero dieci della serie, che aveva già avuto due numeri zero e uno speciale. Ero salito sul treno in corsa, trovandomi in mezzo a un gruppo di colleghi che stavano facendo la storia del fumetto. Di tutto il fumetto, considerando quanto Pikappa avrebbe influenzato almeno una generazione di autori a venire. Ora dimenticherò qualcuno e poi sarò divorato dai sensi di colpa, ma c’erano Alessandro Sisti e Francesco Artibani, i primi due a sceneggiare la saga, e i disegnatori Alessandro Lavoratori, Claudio Sciarrone, Paolo Mottura, Stefano Intini, Fabio Celoni... e Silvia Ziche!

Silvia e io abbiamo stretto il nostro sodalizio proprio grazie a Pikappa, realizzando un ciclo di storie brevi dedicate al giornalista Angus Fangus, specializzato in fake news (ma quanto eravamo avanti?), e l’episodio Motore/Azione, ambientato sul set della cialtronesca serie televisiva Patemi. In tanti, negli anni, sono venuti a dirci che avevamo fatto Boris prima di Boris.

Il PK-Team era una sorta di redazione nella redazione, vagamente carbonara. Noi autori eravamo guidati e spalleggiati da una parte dello staff di Topolino, che rischiava l’osso del collo spronandoci a spingerci sempre più avanti, ancora più in là. Se ne assumevano la responsabilità. Primo fra tutti, Ezio Sisto, che all’epoca era caporedattore, nonché mio editor.

Prendiamo uno dei massimi divieti, nelle storie disneyane: rappresentare la morte. Anatema, per chi osa! Bisogna perfino adottare una certa prudenza a parlare di “eredità”, perché sottintende che qualcuno sia passato a miglior vita. È preferibile riferirsi a “lasciti”.

Bè, ricordo una volta, durante una riunione del PK-Team, in cui si stava esaminando una trama che prevedeva l’esplosione di un’astronave piena di perfidi Evroniani. Non so dirvi chi, forse Francesco Artibani, si era lasciato sfuggire un assennato commento: «Ma, quelli che sono dentro, che fine fanno? Cioè, se un’astronave esplode...» Un attimo di silenzio, con sopraccigli inarcati, poi siamo passati all’argomento successivo.

Eravamo sempre un passo avanti. Anche nelle rubriche. In particolare, quella della posta. I lettori ci confessavano i loro tormenti, più e meno adolescenziali. Noi davamo risposte sarcastiche e sferzanti, in meno dei caratteri di un tweet. «Poche ragazze da quelle parti», riservata ai quesiti dei nerd, è diventata leggendaria. Ma nessuno si offendeva. Essere presi in giro era un onore, perché era una cosa da amici. Fra amici. Attorno a Pikappa, era nata una comunità, con un linguaggio in codice e ammiccamenti per iniziati. Se capisci, sei dei nostri. Tutto quello che oggi, in rete, è normale. Mentre allora in rete si trovavano soltanto i primi forum, in odore di logge segrete.

Modernità

Pikappa ha avuto una prima stagione, cominciata nel 1996, audace e meravigliosa. Una seconda, ancora brillante e tuttavia minata da una continuity troppo pesante, che scoraggiava i nuovi lettori, facendoli sentire come invitati a una festa in cui tutti gli altri si conoscono già e nessuno ti presenta a nessuno. E infine una terza serie, su cui preferirei sorvolare, anche se ne ho scritto due numeri pure io. O forse proprio per questo.

Per il resto, è sufficiente googlare. Vi invito a farlo, per farvi sorprendere dalla quantità di voci dedicate a PK. Che intanto è tornato, sulle pagine di Topolino. I vecchi compagni Artibani e Sisti, con il rinforzo di Roberto Gagnor, hanno sceneggiato nuove storie, con i disegni di Pastrovicchio e Sciarrone. Materiale di qualità piuttosto elevata.

Ma, ovviamente, non è la stessa cosa. Neppure ha la pretesa di esserlo. Il Pikappa dei tempi era una fuga in avanti, fuori da Topolino. Quello di adesso è revival, per la gioia dei fan, ma non ha più, né potrebbe mai più avere, il sapore e il formato della novità. Giusto così.

Il mondo intanto è cambiato. Ma per me, per tanti come me, Pikappa è rimasto un sinonimo di modernità, di sguardo verso il futuro. Pikappa è come certe band che mantengono nel loro dna i geni della modernità. Pikappa è come i Joy Division, per me.

Tante volte mi sono chiesto quali sarebbero state le reazioni degli appassionati lettori di fumetti Disney, se PK - Paperinik New Adventures fosse uscito oggi. Avrebbero accettato una simile rivoluzione? Sono arrivato a considerare una fortuna che, ai tempi, la rete fosse raggiungibile a stento, soltanto con quei modem a 56K.

Non lo avreste capito, ragazzi. Non lo avreste accettato. Un pensiero che, sotto sotto, alimenta la mia deplorevole spocchia. Ma ve lo avevo detto: questa è una confessione.

Adesso, eccomi qui. Fuori dalla tana, gli schiamazzi del festeggiamento hanno disturbato il mio letargo. Grunf! Quanto mi piacciono, le onomatopee di Topolino. E qui ci starebbe bene anche un mumble, pensoso e malmostoso.

Che cosa mi inquieta? Forse non essere stato invitato alla festa? Nel caso, me la sarei un po’ voluta, quantomeno. Gli orsi ballano sempre da soli, perfino quelli ammaestrati. O forse mi disturba l’ipotesi che oggi anche Pikappa possa essere diventato un indiscutibile classico, perdendo quindi quell’allure di modernità? Sarò stato trascinato anch’io in quel gorgo, che rende venerati maestri?

Pikappa ha mostrato una strada, addirittura la ha aperta. Ma è fondamentale capire che quella strada bisogna percorrerla, andando avanti. Le commemorazioni mi commuovono e, insieme, mi spaventano. Assomigliano troppo a funerali. Mentre PK - Paperinik New Adventures deve rimanere un esempio di vitalità, di rinascita. Di rivoluzione.

Ce ne vorrebbe un altro, di Pikappa. Così, ma diverso.

© Riproduzione riservata