-
«Non c’è niente di più bello della Prospettiva Nevskij, almeno a Pietroburgo: per questa città la Prospettiva è tutto», scrive Nikolaj Gogol in apertura di uno dei suoi Racconti di Pietroburgo (1842), dedicato appunto all’analogo russo della Quinta Strada di New York.
-
Questo viale monumentale, progettato sul modello degli Champs-Élysées di Parigi, deriva il nome Nevskij dal fatto di congiungere in diagonale due punti di un’ampia ansa del fiume Neva: come la corda di un arco, si dice in Russia.
-
Luoghi, edifici, uomini e memorie lungo la Prospettiva Nevskij tracciano la mappa di una città che testimonia il proprio destino storico di capitale degli zar russi, della rivoluzione sovietica e della cultura mondiale
«Non c’è niente di più bello della Prospettiva Nevskij, almeno a Pietroburgo: per questa città la Prospettiva è tutto», scrive Nikolaj Gogol in apertura di uno dei suoi Racconti di Pietroburgo (1842), dedicato appunto all’analogo russo della Quinta Strada di New York. E continua descrivendo il mutare della Prospettiva durante il giorno, a seconda delle diverse classi sociali che la invadono la mattina andando al lavoro, a mezzogiorno uscendo da scuola, nel pomeriggio facendo le compere e la sera recandosi al teatro, all’opera o al balletto.
Questo viale monumentale, progettato sul modello degli Champs-Élysées di Parigi, deriva il nome Nevskij dal fatto di congiungere in diagonale due punti di un’ampia ansa del fiume Neva: come la corda di un arco, si dice in Russia. Il percorso della Prospettiva inizia a nord-ovest, nella zona più spettacolare e storica della città: quella in cui si concentrano le facciate verdi del palazzo d’Inverno degli zar, gli splendidi tesori dell’Ermitage, l’arco trionfale dello stato maggiore, la guglia ad ago dell’Ammiragliato, la cupola dorata della cattedrale di Sant’Isacco e la statua equestre di Pietro il Grande, chiamata Il cavaliere di bronzo (1833) dall’omonimo poema di Aleksandr Pushkin.
I palazzi del passato
Scendendo lungo la Prospettiva si ammirano i palazzi monumentali del passato, spesso costruiti da architetti italiani: ad esempio, quello progettato da Bartolomeo Rastrelli, il Bernini di San Pietroburgo, per la famiglia Stroganov. E non si può non notare il colonnato semicircolare di ispirazione berniniana antistante la cattedrale di Nostra Signora di Kazan, che nell’èra sovietica venne adibita a museo dell’Ateismo. Sul piazzale della cattedrale una statua del maresciallo Kutuzov, che è seppellito all’interno della chiesa, onora l’eroe della vittoria contro Napoleone nel 1812, cantata da Lev Tolstoj in Guerra e pace (1869).
Sul lato opposto rispetto alla cattedrale, dalla Prospettiva si vedono in lontananza le cupole in stile russo antico della chiesa del Salvatore sul sangue versato, eretta nel luogo dove fu assassinato lo zar Alessandro II nel 1881. Vicino a essa si trova l’entrata del Museo Russo, che contiene una straordinaria collezione di arte russa, dalle icone all’avanguardia: in particolare i famosi Quadrato nero, Quadrato rosso e Cerchio nero (1915) di Kazimir Malevich, che offrono singolari esempi di un’arte matematica tanto popolare, da essere commercializzata dal Museo su piatti e magliette.
Dopo un percorso di quattro chilometri la Prospettiva termina a sud-est nel monastero Aleksandr Nevskij, dedicato al patrono della città: il principe di Novogorod che nel 1240, proprio in quel luogo sulle rive della Neva, fermò il tentativo svedese di invasione della Russia e si guadagnò l’appellativo di Nevskij. Nel 1547 la chiesa ortodossa russa lo proclamò santo, nel 1710 Pietro il Grande fondò il monastero per custodirne le spoglie e nel 1938 Sergei Eisenstein narrò le sue gesta nel film Aleksandr Nevskij, musicato da Sergei Prokofiev.
In due cimiteri annessi al monastero riposano gli artisti che hanno dato lustro alla città, dai compositori Modest Mussorgskij e Piotr Chaikovskij allo scrittore Fiodor Dostoevkij. Molte opere e balletti dei due musicisti, da Boris Godunov (1874) a Lo schiaccianoci (1892), hanno debuttato a San Pietroburgo e rimangono in cartellone ancor oggi, contribuendo a fare del teatro Marinskij l’analogo del Bolshoi di Mosca e della Scala di Milano. Molti romanzi dello scrittore, a loro volta, sono ambientati in città: soprattutto Delitto e castigo (1866), nella scenografia del quale ci si può immergere passeggiando per i vicoli e sui ponti adiacenti alla ex-malfamata piazza Sennaja, fino alle abitazioni dello studente-assassino e della vittima-usuraia.
Le vere glorie
Ma le vere glorie dei cimiteri del monastero sono due scienziati del Settecento: il tedesco Leonhard Euler e il russo Michail Lomonosov. Il primo, che fu il massimo matematico del suo secolo, visse e lavorò a San Pietroburgo per trent’anni: dal 1727 al 1741 e dal 1766 al 1783. Al secondo, considerato il Leonardo russo, si devono scoperte quali la conservazione della materia, la deriva dei continenti e l’atmosfera di Venere, oltre che la confutazione della teoria del flogisto.
Per visitare i luoghi dove lavorarono Euler e Lomonosov bisogna tornare al punto di partenza della Prospettiva Nevskij e attraversare il ponte che porta all’isola Vasilievskij, sulla quale sono ospitate le più importanti istituzioni scientifiche della città. Prima fra tutte la famosa Accademia delle Scienze, fondata da Pietro il Grande sul modello di quella di Berlino, che lo zar aveva visitato di persona.
Sia Eulero che Lomonosov lavorarono nella neonata Accademia, inaugurata nel 1725, e contribuirono a farla diventare una delle più prestigiose del mondo.
Lo studio di Lomonosov è stato ricostruito nella torre della cosiddetta Kunstkammer, o Gabinetto delle Curiosità, che costituì il nucleo originario dell’odierno museo Etnologico e antropologico. Pietro il Grande aveva un grande interesse per le questioni scientifiche, e fu lui a volere che venissero esibiti quei reperti che ancor oggi attirano la curiosità un po’ morbosa dei visitatori, perché mostrano scheletri e feti animali e umani con ogni tipo di malformazioni genetiche, dalle teste doppie ai gemelli siamesi. L’intento dello zar non era però edonistico, benché agli inizi si incoraggiassero i visitatori offrendo loro vodka gratis, ma educativo: voleva, cioè, mostrare al proprio superstizioso popolo che i mostri non sono il prodotto di malefici o incantesimi, ma di errori d’esecuzione in processi naturali.
Non si deve dimenticare, infatti, che ai tempi di Pietro il Grande la Russia era ancora intellettualmente arretrata, e in particolare non aveva alcuna università: come ricorderà Pushkin, «la nostra prima università fu Lomonosov stesso, che tutto sperimentò e tutto penetrò». Non a caso, una statua dello scienziato troneggia all’entrata delle due più importanti università della Russia, quelle di San Pietroburgo e di Mosca, e quest’ultima si chiama Università Lomonosov in suo onore.
L’università di Mosca è oggi la più grande del paese, ma non la più antica. La primogenitura spetta infatti all’università di San Pietroburgo, fondata anch’essa da Pietro il Grande nel 1724. Il suo nucleo originario furono i Dodici collegi ospitati in un edificio adiacente all’Accademia delle Scienze e alla Kunstkammer, all’entrata del quale una modesta targa mostra il profilo di un sapiente dalla lunga barba e ricorda che «qui insegnò, lavorò e visse dal 1850 al 1890 il grande scienziato russo Dimitrij Mendeleev».
Chimica ma non solo
Il suo nome è conosciuto nel mondo intero per una delle scoperte fondamentali della scienza moderna: la tavola periodica degli elementi, nota appunto come tavola di Mendeleev, che nel 1869 mise ordine tra gli atomi conosciuti e permise di prevederne molti altri sconosciuti. Il suo appartamento-studio è oggi un museo, e vi si possono vedere alcuni suoi manoscritti con versioni preliminari della famosa tavola, oltre alla scrivania ad altezza d’uomo alla quale egli lavorava in piedi. La sua biblioteca, contenente 20.000 volumi, testimonia l’universalità dei suoi interessi, che andavano ben oltre la sola chimica. E alle pareti del suo studio sono esposti i ritratti dei pensatori ai quali si ispirava, da Copernico, Galileo e Newton a Cartesio, Diderot e Lavoisier.
Tutti questi luoghi, edifici, uomini e memorie tracciano per punti la mappa di una città che, come scrisse Andrej Belyi nel suo capolavoro Pietroburgo (1914), «sulla carta forma due cerchi concentrici con un punto nero nel mezzo, e da questo punto matematico che non ha dimensioni si diffonde con impeto e proclama energeticamente la propria esistenza», e testimonia il proprio destino storico di città degli zar russi, della rivoluzione sovietica e della cultura mondiale.
© Riproduzione riservata